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Assegno di mantenimento e pagamento del mutuo

La Cassazione penale è tornata di recente ad affrontare il tema della mancata corresponsione del contributo al mantenimento dei figli da parte del genitore obbligato.
Decidendo in un caso nel quale l’imputato era stato condannato, tra l’altro, ex art. 12 sexies L. 898/70 per essersi sottratto all’obbligo di corresponsione dell’assegno mensile a favore dei figli minori, la Suprema Corte ha ritenuto infondato il motivo di impugnazione proposto dai difensori,i quali avevano evidenziato come il mancato versamento fosse conseguente ad un pregresso accordo tra i genitori e con il quale l’imputato si impegnava a pagare per intero i ratei del mutuo contratto per l’acquisto di un immobile conferito in un fondo patrimoniale, provvedendo così anche alla quota di competenza dell’ex coniuge.
La Cassazione ha chiarito che l‘obbligo di versare l’assegno di mantenimento è inderogabile ed indisponibile e, come tale, non può essere sostituito con prestazioni di altra natura. Oltretutto, nella vicenda specifica, il pagamento delle rate del mutuo era avvenuto in un periodo precedente a quello in cui era stato omesso il versamento dell’assegno.

Fonte: Cass. pen. sent. n. 10944 del 15.3.2016

Il beneficiario di amministrazione di sostegno può fare testamento?

L’idea che la persona sottoposta ad amministrazione di sostegno non possa validamente disporre per testamento è piuttosto diffusa. Ma è errata. Vediamo perchè.

In realtà, l’amministrazione di sostegno non priva automaticamente la persona della capacità di testare: colui che beneficia dell’amministrazione di sostegno rimane sempre capace di agire per qualsiasi atto che non sia espressamente vietato dalla legge o dal decreto di nomina dell’amministratore (art. 409 Cod. civ.).

La legge disciplina l’incapacità di testare nell’art. 591 del Codice civile, che stabilisce che sono incapaci di testare:
a) coloro che non hanno compiuto la maggiore età;
b) gli interdetti per infermità di mente;
c) quelli che, sebbene non interdetti, si provi essere stati, per qualsiasi causa, anche transitoria, incapaci di intendere e di volere nel momento in cui fecero testamento.

Nelle ipotesi contemplate dal legislatore, dunque, non rientra l’amministrazione di sostegno.
Ne consegue che si dovrà fare riferimento al decreto di nomina dell’amministratore di sostegno: se in esso non è prevista espressamente una limitazione della capacità di disporre per testamento, il beneficiario della misura protettiva rimane capace.

Ma quando il giudice tutelare può disporre l’incapacità di testare del beneficiario dell’amministrazione di sostegno?

La valutazione del Giudice dovrà essere particolarmente attenta e scrupolosa, in quanto si tratta di una limitazione di non poco conto e che consiste in un divieto a priori, che viene emesso in epoca precedente alla redazione del testamento, e che prescinde dal suo contenuto.

In assenza di specifiche disposizioni di legge, il Giudice Tutelare dovrà fare riferimento alle norme che regolano situazioni analoghe. Ed in particolare, alle disposizioni che disciplinano l’attività notarile di raccolta degli atti e che impongono al notaio di svolgere un’indagine sulla volontà delle parti (artt. 47 e 67 della legge notarile), nonchè alle norme che disciplinano l’invalidità del testamento e delle singole disposizioni testamentarie (art. 591 cod. civ. e artt. 624 e segg. cod. civ.) e che guidano il giudizio del Tribunale nei procedimenti di impugnazione del testamento.
Le norme citate hanno un elemento in comune: impongono di verificare che il contenuto del testamento corrisponda effettivamente alla volontà che la parte ha manifestato e che, a monte, questa volontà si sia formata in modo libero e consapevole.
In sostanza, l’accertamento del Giudice Tutelare dev’essere teso a verificare che la persona beneficiaria di a.d.s.
– non versi in condizioni di infermità o inferiorità tali da esporla a possibili raggiri e manipolazioni,
comprenda in modo corretto la natura dell’atto,
– abbia maturato la decisione di testare autonomamente e spontaneamente, all’esito di un percorso psicologico corretto e non frutto di condizionamenti esterni.

Sulla scorta di queste valutazioni, il Giudice Tutelare di Vercelli, con provvedimento del 4.9.2015, ha rigettato il ricorso con cui l’amministratore di sostegno di un’anziana signora, stante volontà manifestata dalla medesima di modificare il proprio testamento, aveva chiesto al giudice di valutare l’opportunità di estendere alla beneficiaria le limitazioni legali circa la capacità di testare previste per gli interdetti.
Il Giudice, all’esito di uno approfondito accertamento istruttorio, ha ritenuto che la beneficiaria, pur presentando patologie fisiche che la rendevano in parte impossibilitata a provvedere ai propri interessi, fosse nel pieno possesso ed esercizio della propria capacità di negoziare per testamento in qualsiasi forma.

Fonte: Giudice Tutelare di Vercelli, decreto 4.9.2015

Se i genitori non sono d’accordo sulla scelta della scuola

In un procedimento di separazione personale, i coniugi non riescono a decidere assieme se iscrivere i figli alla scuola pubblica o ad una scuola privata: un genitore sostiene che i bambini dovrebbero continuare a frequentare l’istituto paritario cui erano già iscritti prima della separazione, l’altro si oppone, rappresentando di non essere più in condizione di far fronte alle elevate spese della scuola privata. La decisione viene rimessa al  giudice della separazione, che opta per la scuola pubblica.

Il ragionamento seguito dal Tribunale di Milano, nella recente sentenza n. 3521 del 18.3.2016, prende le mosse dalla constatazione che la separazione determina un impoverimento dei membri della famiglia, al momento che si passa da un’unica economia a due economie domestiche distinte, con conseguente incremento delle spese, molte delle quali (casa, acquisto di alimenti, ecc.) necessariamente si sdoppiano a  causa della separazione.

Di tale dato il giudice deve tenere conto, trattandosi di un elemento di fatto che incide, in concreto, sul tenore di vita dei componenti della famiglia, tenore di vita che, per ragioni oggettive, non può essere dopo la separazione equivalente a quello che aveva il nucleo prima della frattura. E, dunque, quand’anche in precedenza i figli avessero frequentato scuole private di pregio e di ottimo livello, questa possibilità può anche venire meno quando i genitori si separano e non sono più dello stesso parere sulla scelta iniziale.

In questo caso – sancisce il Tribunale di Milano – la preferenza va data alla scuola pubblica, quando non vi siano controindicazioni per i minori: e ciò poichè la scuola pubblica è ritenuta idonea dall’ordinamento allo sviluppo culturale di qualsiasi minore residente sul territorio ed inoltre rappresenta una scelta “neutra“, che non rischia di orientare il minore verso determinate scelte educative o di orientamento culturale cui potrebbe essere indirizzato dalla scuola privata.

L’opzione in favore dell’istruzione pubblica è, dunque, da privilegiare, a meno che non vi siano delle situazioni particolari (specialmente se riconducibili a difficoltà di apprendimento, fragilità di inserimento con i coetanei, esigenze di coltivare gli studi e la formazione in sintonia con la dotazione culturale o l’estrazione nazionale dei genitori, ecc.), che rendano oggettiva l’esigenza del minore di frequentare la scuola privata.

Fonte: Tribunale di Milano, sentenza n. 3521 del 18.3.2016 (est. Buffone)

 

L’affidamento dei figli se i genitori non sono sposati: perchè è importante rivolgersi al giudice

Le coppie di fatto, cioè non legate da vincolo coniugale, sono sempre più numerose.
Spesso sono soprattutto i giovani che, per varie motivazioni, scelgono di non avere un legame “ufficiale” e di convivere, andando a costituire un nucleo familiare autonomo.

L’ordinamento riconosce una tutela inferiore alla famiglia di fatto rispetto alla famiglia fondata sul matrimonio per quanto attiene i rapporti tra gli adulti, in quanto il convivente economicamente più debole non ha, ad oggi, le medesime garanzie che sono previste per il coniuge meno abbiente.
Ed infatti, mentre il coniuge (solitamente, la moglie) che dispone di risorse economiche inferiori ha diritto ad ottenere dall’altro coniuge un contributo per il proprio mantenimento, ciò non è previsto per la persona non autonoma finanziariamente che abbia solamente convissuto con il partner, anche se il rapporto è durato a lungo e se, durante la relazione di fatto, veniva aiutata economicamente dal convivente.  Per approfondimenti, si veda la pagina del sito dedicata alla convivenza.

Per quanto riguarda i figli non vi sono differenze tra famiglia di fatto e famiglia legittima.
La recente riforma della filiazione ha, infatti, equiparato integralmente la posizione dei figli, a prescindere dal vincolo che lega i genitori, uniformando anche le norme successorie e la competenza del Tribunale ordinario a decidere sui rapporti genitori-figli.

Se vi sono figli minori, pertanto, quando i genitori si lasciano, dovranno essere regolamentati l’affidamento, la collocazione abitativa ed i tempi che i figli trascorreranno con ciascuno dei genitori, oltre che le modalità e la misura del contributo al loro mantenimento da parte del genitore non convivente.
L’assegno di mantenimento per i figli è dovuto anche se essi sono maggiorenni, purchè non economicamente autosufficienti.
Ed inoltre, così come i figli nati nel matrimonio, i figli nati da coppie di fatto hanno diritto a rimanere a vivere nell’abitazione adibita a casa familiare: la casa dove la famiglia di fatto ha vissuto andrà, pertanto, assegnata al genitore convivente con i figli, a prescindere dal titolo di proprietà.
Tale tutela, al pari di quella economica, è prevista anche in favore dei figli che abbiano raggiunto la maggiore età e non dispongano di redditi propri.

Quando i genitori non sono sposati non è necessario un atto formale che dichiari la separazione personale, obbligatorio, al contrario, in caso di persone sposate: non è necessario, cioè, un provvedimento del giudice che attesti che la coppia non è più tale. Il rapporto è e rimane un rapporto di fatto, irrilevante per l’ordinamento.

Neppure nel caso in cui dall’unione siano nati figli, vi è l’obbligo di rivolgersi al Tribunale.
Ovviamente, l’accesso al Tribunale è necessario quando vi sia un contenzioso tra i genitori, che non riescono ad accordarsi sulla disciplina dei rapporti con i figli.

Diversamente, se cioè vi è intesa tra i genitori, i rapporti con i figli possono essere regolati anche privatamente, sulla base di accordi scritti o anche solo verbali tra le parti.
Anche se redatti per iscritto, tuttavia, questi accordi presentano un notevole limite: la loro attuazione è rimessa alla correttezza ed alla lealtà delle parti e se una delle parti, successivamente alla firma, smette di dare attuazione a quanto convenuto (ad esempio, cessa di versare il contributo mensile per i figli o versa una somma inferiore a quella pattuita), l’altra non ha la possibilità di pretendere l’adempimento nè di ottenere l’esecuzione forzata dell’accordo.
Per questa ragione, è sempre consigliabile far ratificare l’accordo dal Giudice. In questo modo, le regole assumono una veste formale e divengono giuridicamente vincolanti, con maggiori garanzie per le parti e soprattutto per i figli.

Non è invece possibile per le coppie di fatto avvalersi del nuovo strumento della negoziazione assistita, che permette una regolamentazione privata dei rapporti tra i coniugi senza necessario passaggio in Tribunale. Tale strumento è esperibile soltanto per le coppie legate da vincolo coniugale.

Danno da perdita del rapporto parentale: va risarcita anche la madre sociale

Il “danno da perdita parentale” o “danno da lutto” è un danno che va oltre il crudo dolore che la morte di una persona cara provoca nei prossimi congiunti che le sopravvivono, e si concreta nel “vuoto costituito dal non potere più godere della presenza e del rapporto con chi è venuto meno, nel non potere più fare ciò che per anni si faceva e perciò nell’irrimediabile distruzione di un sistema di vita basato sull’affettività, sulla condivisione, sulla rassicurante quotidianità dei rapporti familiari“.
Il bene leso è l’intangibilità della sfera degli affetti e la reciproca solidarietà nella famiglia, la cui tutela è ricollegabile agli artt. 2, 29 e 30 della Carta costituzionale.
L’interesse protetto, di rilievo costituzionale – come detto – non ha natura economica, e la sua “lesione non apre la via ad un risarcimento ai sensi dell’art. 2043 C.C., nel cui ambito rientrano i danni patrimoniali, ma ad un risarcimento (o meglio: ad una riparazione), ai sensi dell’art. 2059 C.C.“.

Queste le premesse su cui si fonda il ragionamento del Tribunale di Reggio Emilia che, in una recente pronuncia, ha riconosciuto anche in capo alla madre sociale di un ragazzo tragicamente deceduto in un incidente stradale il diritto al risarcimento del danno parentale.

La richiesta di risarcimento era stata presentata dal padre e dalla madre biologici, ed altresì dalla compagna della madre (oltre che dai nonni, cui pure è stato riconosciuto un risarcimento). I genitori, infatti, si erano separati quando il ragazzo era ancora un bambino, ed egli era cresciuto con la madre e la sua convivente, uniti in un unico nucleo familiare.

Il giudice, accertata la responsabilità esclusiva del sinistro mortale in capo al conducente del veicolo, ha disposto il risarcimento in favore di entrambi genitori e della madre sociale del ragazzo, evidenziando la sussistenza di un saldo e duraturo legame affettivo tra quest’ultima e la vittima, comprovato dalle testimonianze acquisite nel procedimento e dalla consulenza tecnica medico-legale.

Ponendosi sulla scia della giurisprudenza della Corte di Cassazione e della Corte Europea dei diritti dell’Uomo, il Tribunale di Reggio Emilia ha sottolineato che ai fini del risarcimento del danno da lutto ciò che rileva è la comunanza di vita ed affetti con la vittima, a prescindere dalla sussistenza di rapporti di parentela ed affinità giuridicamente tali.

Il risarcimento è stato quantificato in 233.460,00 € sulla base dei parametri delle Tabelle di Milano 2014 con riferimento alla morte del figlio, dovendosi ritenere questa la fattispecie tra quelle presenti nelle Tabelle milanesi, quella che più si avvicinava al rapporto che si era creato tra le parti e che era caratterizzato da affettività, familiarità, attaccamento di natura materna del ragazzo con la compagna della madre.

Fonte: Tribunale di Reggio Emilia, sentenza n. 315 del 2.3.2016, est. Boiardi.

Quando l’ex non versa il mantenimento, paga lo Stato?

Il punto di domanda è d’obbligo. Con la Legge di Stabilità 2016 è stata disposta la costituzione, in via sperimentale, di un Fondo di Solidarietà a tutela del coniuge in stato di bisogno in caso di mancato versamento dell’assegno di mantenimento da parte dell’altro coniuge.

Ad oggi l’accesso al Fondo non è praticabile, in quanto non sono ancora stati emanati decreti ministeriali di attuazione della norma, nonostante sia ampiamente decorso il termine ( 31 gennaio 2016) fissato nella Legge per la loro adozione.

Per ora, dunque, possiamo soltanto anticipare come funzionerà, sulla base di quanto previsto nella Legge di Stabilità.

Potrà accedere al Fondo il coniuge separato

a) titolare di un assegno di mantenimento che non venga versato dall’altro coniuge, e

b) che si trovi in stato di bisogno e non sia in grado di provvedere al mantenimento proprio e dei figli conviventi minorenni o maggiorenni portatori di handicap grave.

L’avente diritto dovrà depositare presso il Tribunale di residenza una specifica domanda per ottenere l’anticipazione da parte dello Stato delle somme non percepite.

E’ presumibile – lo chiariranno meglio i decreti attuativi – che alla domanda debba essere allagata la documentazione attestante la sussistenza del diritto (verbale di separazione consensuale e decreto di omologa, sentenza, accordo di negoziazione assistita), la prova dell’inadempimento (quale una lettera di messa in mora o un atto di precetto) e la dimostrazione  dello stato di bisogno e dell’impossibilità di provvedere al proprio mantenimento ed a quello dei figli (dichiarazioni fiscali, modelli ISEE, ecc.).

Il Tribunale, entro 30 giorni, dovrà pronunciarsi sulla domanda, emettendo un decreto di accoglimento, qualora sussistano i requisiti,  o di rigetto, nel caso in cui non ravvisi la sussistenza dei presupposti per l’accesso al Fondo. Il decreto di rigetto è per legge non impugnabile.

Il decreto di accoglimento verrà trasmesso al  Ministero della Giustizia ai fini della corresponsione delle somme richieste. Il Ministero potrà successivamente rivalersi sul coniuge inadempiente per il recupero degli importi erogati.

Il nuovo istituto risponde all’esigenza di fronteggiare in modo concreto le difficoltà economiche che, sempre più frequentemente, conseguono alla separazione personale.

La formulazione della norma presenta, tuttavia, alcuni profili critici sui quali è opportuno soffermarsi.

Anzitutto, non è previsto l’accesso al Fondo di Solidarietà per il coniuge divorziato: questa esclusione, di fatto, crea una ingiustificata ed illegittima disparità di trattamento tra separati e divorziati. Ed ugualmente discriminatoria, considerato che presupposto per l’accesso al Fondo è la convivenza del coniuge separato con i figli minori o maggiorenni portatori di handicap grave,  è l’assenza di tutela per i figli nati da unioni more uxorio.

Ed inoltre, la norma di presta il fianco a possibili abusi e frodi, non potendosi escludere che qualche coniuge si accordi per ottenere una sorta di sussidio, con l’impossibilità per lo Stato di recuperare le somme anticipate se il coniuge obbligato è nullatenente.
Il necessario passaggio in Tribunale, poi, contrasta nettamente con le ultime tendenze del legislatore orientato alla deflazione del contenzioso.

Insomma, l’idea è buona, ma il risultato – come purtroppo spesso accade quando manca un approccio sistematico alla risoluzione di una questione – non è ancora soddisfacente.

Fonte: Legge n. 208 del 28.12.2015, artt. 414 -416.