Archivio per anno: 2019
Se i coniugi hanno convissuto per più di tre anni, il matrimonio non è annullabile
/in Casi dello studio, Matrimonio/da BarbaraSe la convivenza matrimoniale è durata più di tre anni, la sentenza ecclesiastica di nullità del matrimonio non può essere riconosciuta nel nostro ordinamento, poiché contraria all’ordine pubblico.
Lo ha stabilito la Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 30900 del 26 novembre 2019.
La vicenda
Il caso esaminato era quello di un uomo che, ottenuta la sentenza del Tribunale ecclesiastico di annullamento del matrimonio, ne aveva chiesto la delibazione, cioè il riconoscimento in Italia. La Corte d’Appello (giudice competente per il riconoscimento delle sentenze straniere, quali si considerano le sentenze di diritto canonico) aveva rigettato la richiesta dell’uomo, ritenendo che la sentenza canonica non fosse riconoscibile in quanto i coniugi avevano vissuto come marito e moglie per oltre tre anni. La moglie si era opposta al riconoscimento della sentenza canonica, sostenendo, appunto, che la convivenza come marito e moglie, durata oltre tre anni, aveva di fatto reso effettivo il rapporto di matrimonio.
Impugnata la decisione in Cassazione, il marito ha visto confermata la sentenza della Corte d’Appello.
La convivenza ultratriennale è norma di ordine pubblico interno
Secondo la Cassazione, infatti, la circostanza che la convivenza coniugale sia durata più di tre anni dalla data delle nozze è ostativa al riconoscimento dell’efficacia in Italia della sentenza canonica di annullamento del vincolo: questo poiché per il nostro ordinamento la convivenza di due persone come coniugi è elemento essenziale del rapporto matrimoniale e, se si protrae per oltre tre anni, di fatto elide ogni possibile vizio dell’atto iniziale di celebrazione delle nozze.
In altre parole, la convivenza per oltre tre anni impedisce di contestare la validità dell’atto matrimoniale. Si tratta, secondo la Cassazione, di una norma di ordine pubblico interno, inderogabile e non intaccabile da provvedimenti di altri ordinamenti.
Per ottenere il riconoscimento della sentenza canonica di annullamento del matrimonio, il marito avrebbe dovuto dimostrare che quella con la moglie non era convivenza matrimoniale, ma semplice coabitazione, cioè che lui e la moglie vivevano sì sotto lo stesso tetto, ma da separati in casa, ognuno per conto proprio. Circostanze di per sé estremamente difficili da dimostrare e che, nel caso deciso dalla Cassazione, non erano state dimostrate, anche perché la moglie si era opposta al riconoscimento della sentenza canonica di annullamento del matrimonio proprio sostenendo di aver vissuto assieme al marito come sua moglie.
Fonte: Ordinanza Cassazione Civile n. 30900 del 26 novembre 2019
Cosa sono i contratti di convivenza?
/in Convivenze di fatto, Coppie non sposate/da webdevLa risposta dell’Avvocato Barbara D’Angelo
I contratti di convivenza sono entrati in vigore il 5 giugno 2016 grazie alla Legge Cirinnà, rappresentano una garanzia che permette alla coppia di conviventi di fatto di “disciplinare i rapporti patrimoniali relativi alla loro vita in comune”. Il contratto di convivenza contiene indicazioni sul luogo di residenza, sulle modalità di contribuzione e all’eventuale regime patrimoniale di comunione o separazione dei beni, che può essere cambiato in qualsiasi momento.
Il contratto di convivenza non può essere sottoposto a termine o condizione. Pertanto, non possono sussistere situazioni di rescissioni del contratto in base al verificarsi di determinate condizioni. L’unico modo per sciogliere il contratto è l’esplicita richiesta di almeno uno dei due conviventi.
I conviventi non sono comunque obbligati a stipulare il contratto, esattamente come non hanno obbligo di registrazione all’anagrafe.
Cosa succede se non pago il mantenimento a mia moglie?
/in Mantenimento coniuge/da webdevLa risposta dell’Avvocato Barbara D’Angelo
Non contribuire al mantenimento della moglie, anche divorziata, e dei figli espone al rischio di denuncia da parte del coniuge e di sanzioni penali, ai sensi degli articoli 570 (violazione degli obblighi di assistenza familiare), 570 bis c.p. (violazione degli obblighi di assistenza familiare in caso di separazione o di scioglimento del matrimonio) e 388 (violazione dolosa di provvedimento dell’autorità giudiziaria).
Gli artt. 570 e 388 del codice penale si applicano anche in caso di mancato mantenimento dei figli nati fuori dal matrimonio.
Qual è l’iter per la separazione?
/in Negoziazione assistita, Separazione/da webdevLa risposta dell’Avvocato Barbara D’Angelo
L’ordinamento italiano prevede la possibilità per i coniugi di scegliere strade diverse per la separazione.
La separazione consensuale avviene quando marito e moglie decidono assieme l’assetto della loro vita da separati, ovvero come regolare i rapporti con i figli, il mantenimento, la casa familiare e la divisione dei beni comuni.
In questo caso, i coniugi si recano dal giudice soltanto per far ratificare le condizioni della loro separazione, già previamente concordate. In alternativa, i coniugi possono redigere davanti agli avvocati un accordo di negoziazione assistita che disciplina la loro separazione consensuale, senza necessità di recarsi in Tribunale.
La separazione giudiziale diventa necessaria quando i coniugi hanno posizioni divergenti sulle regole della separazione. In questo caso la decisione viene demandata al Tribunale. Già dopo la prima udienza, il giudice emette dei provvedimenti urgenti con cui vengono disciplinati in via provvisoria i rapporti tra marito e moglie e con i figli.
Sottrazione consensuale di minorenni. Qual è la pena?
/in Figli maggiorenni/da webdevLa risposta dell’Avvocato Barbara D’Angelo
La sottrazione consensuale di minorenni è un delitto previsto e punito dall’art. 573 del Codice Penale.
Chiunque sottrae un minore che abbia compiuto i quattordici anni, pur con il consenso di quest’ultimo, al genitore esercente la responsabilità genitoriale o al tutore, contro la volontà del medesimo genitore o tutore, è punito, a mezzo querela, con la reclusione fino a due anni.
È possibile revocare l’interdizione giudiziale?
/in Amministrazione di sostegno/da webdevLa risposta dell’Avvocato Barbara D’Angelo
L’art. 429 c.c. sancisce che in qualsiasi momento, quando cessa la causa dell’interdizione o dell’inabilitazione, queste possono essere revocate con sentenza.
La domanda per la revoca dell’interdizione o dell’inabilitazione può essere presentata dal coniuge, dai parenti entro il quarto grado o dagli affini entro il secondo grado, dal tutore dell’interdetto, dal curatore dell’inabilitato o su istanza del pubblico ministero.
La revoca dell’interdizione può essere anche chiesta al fine di ottenere l’applicazione della misura dell’amministrazione di sostegno, misura meno invasiva e più flessibile rispetto alla vecchia interdizione.
In che cosa consiste la comunione legale dei beni?
/in Patrimonio familiare/da BarbaraLa risposta dell’Avvocato Barbara D’Angelo
La comunione legale dei beni è il regime patrimoniale che, per legge, si applica al matrimonio se i coniugi non scelgono diversamente (optando per la separazione dei beni o per altri regimi convenzionali).
La funzione della comunione legale è costituire un patrimonio comune ai coniugi, destinato al soddisfacimento delle esigenze della famiglia.
La comunione ha per oggetto gli acquisti compiuti dai coniugi, anche separatamente, dopo il matrimonio, ad eccezione di alcuni beni che rimangono personali; le aziende gestite da entrambi i coniugi e costituite dopo il matrimonio, i frutti dei beni appartenenti anche solo a uno dei due coniugi; i proventi dell’attività separata di ciascuno dei coniugi.
Sono invece esclusi dalla comunione i beni di cui ciascuno dei coniugi era titolare prima del matrimonio; i beni acquisiti da uno dei coniugi durante il matrimonio per donazione o successione; i beni di uso strettamente personale, quelli strumentali per l’esercizio di una professione ed eventuali somme percepite a titolo di risarcimento danni.
Come avviene l’accertamento giudiziale della paternità e della maternità?
/in Filiazione/da webdevLa risposta dell’Avvocato Barbara D’Angelo
La dichiarazione giudiziale di paternità e di maternità è lo strumento giuridico tramite cui un soggetto nato fuori dal matrimonio può vedersi riconosciuto lo status di figlio, indipendentemente dalla volontà dei genitori.
In altre parole, il figlio che alla nascita non sia stato riconosciuto dalla madre o dal padre, può rivolgersi al Tribunale chiedendo di accertare il rapporto di filiazione nei confronti del genitore che non lo abbia riconosciuto.
L’azione di accertamento può essere promossa anche dal genitore che ha riconosciuto il figlio, nei confronti dell’altro genitore che abbia omesso il riconoscimento.
Il rapporto di filiazione biologica viene accertato mediante la prova ematogenetica (test del DNA) o mediante altri mezzi di prova (documenti, testimonianze, ecc.).
Cosa sono gli ordini di protezione contro gli abusi familiari?
/in Abusi in famiglia/da webdevLa risposta dell’Avvocato Barbara D’Angelo
Gli ordini di protezione contro gli abusi familiari sono provvedimenti urgenti che vengono emessi dal Tribunale in situazione di violenza ed abusi in famiglia.
La norma (art. 342 bis c.c.) specifica che deve trattarsi di condotte che causano “un pregiudizio grave all’integrità fisica o morale e alla libertà personale del coniuge o del convivente”.
In presenza di tali condotte (che vanno rigorosamente dimostrate), il giudice, su domanda di parte, emette un decreto, anche senza previamente sentire la persona accusata di abusi, ordinandole di porre immediatamente fine alla condotta violenta o maltrattante e vietandole di avvicinarsi ai luoghi frequentati dai familiari vittime degli abusi.
Presupposti per l’applicazione della misura sono:
- la convivenza o perdurante coabitazione (che non è esclusa quando la vittima si allontani dall’abitazione comune prima di rivolgersi al giudice, quando l’allontanamento sia causato dal timore di subire ulteriore violenza);
- una condotta gravemente pregiudizievole all’integrità fisica o psicologica della persona; dunque non solo maltrattamenti fisici, ma anche tutti i casi di violenze psicologiche, offese, minacce e comportamenti comunque lesivi della dignità della persona.
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