Quali sono i presupposti dell’assegno di divorzio?

Dopo l’intervento delle Sezioni Unite dalla Corte di Cassazione del luglio 2018 l’assegno di divorzio ha mantenuto come preponderante la funzione assistenziale, ovvero quella di fornire un supporto economico al coniuge che si trova in una condizione di svantaggio ed inferioritàeconomica rispetto all’altro.
A questa funzione, la Cassazione ha aggiunto la funzione contributivo-compensativa, vale a dire quella di compensare il sacrificio economico fatto dal coniuge che ha dato la priorità alle esigenze della famiglia rinunciando a realizzarsi sul lavoro e così comprimendo le proprie ambizioni professionali e la propria crescita lavorativa.
Presupposto indefettibile per il riconoscimento dell’assegno di divorzio è, dunque, la condizione di debolezza economica del richiedente. Ma è altresì necessario che questa condizione sia legata alle modalità con cui è stata condotta la vita familiare e sia conseguenza delle scelte fatte durante il matrimonio.
Questo accade, ad esempio, quando la moglie rinuncia ad una progressione di carriera o sceglie l’orario part-time, con conseguente riduzione dello stipendio, per occuparsi dei figli ed in tal modo agevola il marito, che può dedicarsi a tempo pieno al lavoro, crescere professionalmente ed incrementare i propri redditi.

Se i coniugi hanno convissuto per più di tre anni, il matrimonio non è annullabile

Se la convivenza matrimoniale è durata più di tre anni, la sentenza ecclesiastica di nullità del matrimonio non può essere riconosciuta nel nostro ordinamento, poiché contraria all’ordine pubblico.

Lo ha stabilito la Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 30900 del 26 novembre 2019.

La vicenda

Il caso esaminato era quello di un uomo che, ottenuta la sentenza del Tribunale ecclesiastico di annullamento del matrimonio, ne aveva chiesto la delibazione, cioè il riconoscimento in Italia. La Corte d’Appello (giudice competente per il riconoscimento delle sentenze straniere, quali si considerano le sentenze di diritto canonico) aveva rigettato la richiesta dell’uomo, ritenendo che la sentenza canonica non fosse riconoscibile in quanto i coniugi avevano vissuto come marito e moglie per oltre tre anni. La moglie si era opposta al riconoscimento della sentenza canonica, sostenendo, appunto, che la convivenza come marito e moglie,  durata oltre tre anni, aveva di fatto reso effettivo il rapporto di matrimonio.

Impugnata la decisione in Cassazione, il marito ha visto confermata la sentenza della Corte d’Appello.

 

La convivenza ultratriennale è norma di ordine pubblico interno

Secondo la Cassazione, infatti, la circostanza che la convivenza coniugale sia durata più di tre anni dalla data delle nozze è ostativa al riconoscimento dell’efficacia in Italia della sentenza canonica di annullamento del vincolo: questo poiché per il nostro ordinamento la convivenza di due persone come coniugi è elemento essenziale del rapporto matrimoniale e, se si protrae per oltre tre anni, di fatto elide ogni possibile vizio dell’atto iniziale di celebrazione delle nozze.

In altre parole, la convivenza per oltre tre anni impedisce di contestare la validità dell’atto matrimoniale. Si tratta, secondo la Cassazione, di una norma di ordine pubblico interno, inderogabile e non intaccabile da provvedimenti di altri ordinamenti.

Per ottenere il riconoscimento della sentenza canonica di annullamento del matrimonio, il marito avrebbe dovuto dimostrare che quella con la moglie non era convivenza matrimoniale, ma semplice coabitazione, cioè che lui e la moglie vivevano sì sotto lo stesso tetto, ma da separati in casa, ognuno per conto proprio. Circostanze di per sé estremamente difficili da dimostrare e che, nel caso deciso dalla Cassazione, non erano state dimostrate, anche perché la moglie si era opposta al riconoscimento della sentenza canonica di annullamento del matrimonio proprio sostenendo di aver vissuto assieme al marito come sua moglie.

 

Fonte: Ordinanza Cassazione Civile n. 30900 del 26 novembre 2019

 

 

 

 

schermata grigia con domanda "Cosa sono i contratti di convivenza?"

Cosa sono i contratti di convivenza?

La risposta dell’Avvocato Barbara D’Angelo

I contratti di convivenza sono entrati in vigore il 5 giugno 2016 grazie alla Legge Cirinnà, rappresentano una garanzia che permette alla coppia di conviventi di fatto di “disciplinare i rapporti patrimoniali relativi alla loro vita in comune”. Il contratto di convivenza contiene indicazioni sul luogo di residenza, sulle modalità di contribuzione e all’eventuale regime patrimoniale di comunione o separazione dei beni, che può essere cambiato in qualsiasi momento.

Il contratto di convivenza non può essere sottoposto a termine o condizione. Pertanto, non possono sussistere situazioni di rescissioni del contratto in base al verificarsi di determinate condizioni. L’unico modo per sciogliere il contratto è l’esplicita richiesta di almeno uno dei due conviventi.

I conviventi non sono comunque obbligati a stipulare il contratto, esattamente come non hanno obbligo di registrazione all’anagrafe.

schermata grigia con domanda "Cosa succede se non pago il mantenimento a mia moglie?"

Cosa succede se non pago il mantenimento a mia moglie?

La risposta dell’Avvocato Barbara D’Angelo

Non contribuire al mantenimento della moglie, anche divorziata, e dei figli espone al rischio di denuncia da parte del coniuge e di sanzioni penali, ai sensi degli articoli 570 (violazione degli obblighi di assistenza familiare), 570 bis c.p. (violazione degli obblighi di assistenza familiare in caso di separazione o di scioglimento del matrimonio) e 388 (violazione dolosa di provvedimento dell’autorità giudiziaria).

Gli artt. 570 e 388 del codice penale si applicano anche in caso di mancato mantenimento dei figli nati fuori dal matrimonio.

schermata verde con domanda "Qual è l’iter per la separazione?"

Qual è l’iter per la separazione?

La risposta dell’Avvocato Barbara D’Angelo

L’ordinamento italiano prevede la possibilità per i coniugi di scegliere strade diverse per la separazione.

La separazione consensuale avviene quando marito e moglie decidono assieme l’assetto della loro vita da separati, ovvero come regolare i rapporti con i figli, il mantenimento, la casa familiare e la divisione dei beni comuni.
In questo caso, i coniugi si recano dal giudice soltanto per far ratificare le condizioni della loro separazione, già previamente concordate. In alternativa, i coniugi possono redigere davanti agli avvocati un accordo di negoziazione assistita che disciplina la loro separazione consensuale, senza necessità di recarsi in Tribunale.

La separazione giudiziale diventa necessaria quando i coniugi hanno posizioni divergenti sulle regole della separazione. In questo caso la decisione viene demandata al Tribunale. Già dopo la prima udienza, il giudice emette dei provvedimenti urgenti con cui vengono disciplinati in via provvisoria i rapporti tra marito e moglie e con i figli.

Immagine con fondo grigio con domanda "Sottrazione consensuale di minorenni. Qual è la pena?"

Sottrazione consensuale di minorenni. Qual è la pena?

La risposta dell’Avvocato Barbara D’Angelo

La sottrazione consensuale di minorenni è un delitto previsto e punito dall’art. 573 del Codice Penale.

Chiunque sottrae un minore che abbia compiuto i quattordici anni, pur con il consenso di quest’ultimo, al genitore esercente la responsabilità genitoriale o al tutore, contro la volontà del medesimo genitore o tutore, è punito, a mezzo querela, con la reclusione fino a due anni.

immagine con sfondo grigio con domanda "È possibile revocare l’interdizione giudiziale?"

È possibile revocare l’interdizione giudiziale?

La risposta dell’Avvocato Barbara D’Angelo

L’art. 429 c.c. sancisce che in qualsiasi momento, quando cessa la causa dell’interdizione o dell’inabilitazione, queste possono essere revocate con sentenza.

La domanda per la revoca dell’interdizione o dell’inabilitazione può essere presentata dal coniuge, dai parenti entro il quarto grado o dagli affini entro il secondo grado, dal tutore dell’interdetto, dal curatore dell’inabilitato o su istanza del pubblico ministero.

La revoca dell’interdizione può essere anche chiesta al fine di ottenere l’applicazione della misura dell’amministrazione di sostegno, misura meno invasiva e più flessibile rispetto alla vecchia interdizione.  

schermata con sfondo verde e domanda "in cosa consiste la comunione legale dei beni"

In che cosa consiste la comunione legale dei beni?

La risposta dell’Avvocato Barbara D’Angelo

La comunione legale dei beni è il regime patrimoniale che, per legge, si applica al matrimonio se i coniugi non scelgono diversamente (optando per la separazione dei beni o per altri regimi convenzionali).

La funzione della comunione legale è costituire un patrimonio comune ai coniugi, destinato al soddisfacimento delle esigenze della famiglia.

La comunione ha per oggetto gli acquisti compiuti dai coniugi, anche separatamente, dopo il matrimonio, ad eccezione di alcuni beni che rimangono personali; le aziende gestite da entrambi i coniugi e costituite dopo il matrimonio, i frutti dei beni appartenenti anche solo a uno dei due coniugi; i proventi dell’attività separata di ciascuno dei coniugi.

Sono invece esclusi dalla comunione i beni di cui ciascuno dei coniugi era titolare prima del matrimonio; i beni acquisiti da uno dei coniugi durante il matrimonio per donazione o successione; i beni di uso strettamente personale, quelli strumentali per l’esercizio di una professione ed eventuali somme percepite a titolo di risarcimento danni.

Immagine con fondo grigio con scritta "Come avviene l’accertamento giudiziale della paternità e della maternità?"

Come avviene l’accertamento giudiziale della paternità e della maternità?

La risposta dell’Avvocato Barbara D’Angelo

La dichiarazione giudiziale di paternità e di maternità è lo strumento giuridico tramite cui un soggetto nato fuori dal matrimonio può vedersi riconosciuto lo status di figlio, indipendentemente dalla volontà dei genitori.

In altre parole, il figlio che alla nascita non sia stato riconosciuto dalla madre o dal padre, può rivolgersi al Tribunale chiedendo di accertare il rapporto di filiazione nei confronti del genitore che non lo abbia riconosciuto.

L’azione di accertamento può essere promossa anche dal genitore che ha riconosciuto il figlio, nei confronti dell’altro genitore che abbia omesso il riconoscimento.

Il rapporto di filiazione biologica viene accertato mediante la prova ematogenetica (test del DNA) o mediante altri mezzi di prova (documenti, testimonianze, ecc.).

Cosa sono gli ordini di protezione contro gli abusi familiari?

Cosa sono gli ordini di protezione contro gli abusi familiari?

La risposta dell’Avvocato Barbara D’Angelo

Gli ordini di protezione contro gli abusi familiari sono provvedimenti urgenti che vengono emessi dal Tribunale in situazione di violenza ed abusi in famiglia.

La norma (art. 342 bis c.c.) specifica che deve trattarsi di condotte che causano “un pregiudizio grave all’integrità fisica o morale e alla libertà personale del coniuge o del convivente”. 

In presenza di tali condotte (che vanno rigorosamente dimostrate), il giudice, su domanda di parte, emette un decreto, anche senza previamente sentire la persona accusata di abusi, ordinandole di porre immediatamente fine alla condotta violenta o maltrattante e vietandole di avvicinarsi ai luoghi frequentati dai familiari vittime degli abusi.

Presupposti per l’applicazione della misura sono: 

  •  la convivenza o perdurante coabitazione (che non è esclusa quando la vittima si allontani dall’abitazione comune prima di rivolgersi al giudice, quando l’allontanamento sia causato dal timore di subire ulteriore violenza);
  • una condotta gravemente pregiudizievole all’integrità fisica o psicologica della persona; dunque non solo maltrattamenti fisici, ma anche tutti i casi di violenze psicologiche, offese, minacce e comportamenti comunque lesivi della dignità della persona.