Si può versare l’assegno di mantenimento direttamente al figlio maggiorenne?

La domanda non ha una risposta univoca.

Occorre prima di tutto tenere distinte due ipotesi fondamentali: il caso in cui la sentenza di separazione sentenza prevede il versamento diretto dell’assegno al figlio e il caso in cui la sentenza stabilisce che il pagamento del contributo per il figlio va fatto in favore del genitore convivente con il figlio (che di solito è la madre).

Esaminiamole nello specifico.

Se nella separazione è previsto espressamente il versamento diretto al figlio

Può accadere che, nel regolare la loro separazione, i coniugi si accordino prevedendo che al compimento della maggiore età del figlio il padre verserà l’assegno mensile, o una parte di esso, direttamente al figlio. In questo caso, una volta che il figlio avrà compiuto diciott’anni, il padre potrà tranquillamente versare l’assegno al figlio.

Il genitore separato, pertanto, può versare direttamente al figlio maggiorenne il contributo al suo mantenimento se questa modalità è prevista nei provvedimenti che regolano la separazione o il divorzio o il mantenimento del figlio di genitori non sposati.

Se nella separazione è previsto che l’assegno per il figlio va versato alla madre

Se invece, nei provvedimenti della separazione è previsto che l’assegno debba essere versato al genitore con lui convivente (di solito, la madre) si possono presentare due diversi scenari:

– la madre non è d’accordo per il versamento diretto al figlio:

In assenza di accordo tra i genitori, non è possibile il versamento diretto al figlio.

Infatti, il genitore convivente con il figlio è titolare del diritto di ricevere l’assegno e nel caso in cui non riceva nulla può agire in via esecutiva (con il pignoramento del conto corrente o dello stipendio, ad esempio) per recuperare le mensilità che non gli sono state corrisposte. E questo diritto può essere fatto valere anche nell’ipotesi in cui l’altro genitore abbia già versato le stesse mensilità dell’assegno direttamente al figlio.

– i genitori sono entrambi d’accordo per il versamento diretto al figlio:

Se invece i genitori separati si accordano tra di loro e convengono sul versamento diretto al figlio, occorre comunque fare molta attenzione.

Le decisioni giudiziali su questo tema non hanno, infatti, un orientamento univoco.

Alcune sentenze hanno ritenuto valido l’accordo tra i genitori separati che prevedeva il versamento diretto dell’assegno al figlio, così derogando le prescrizioni della loro separazione che stabilivano che il pagamento dell’assegno per il figlio andasse fatto mediante bonifico sul conto corrente della madre.

Tuttavia, non mancano decisioni che negano validità all’accordo tra i genitori.

In questo senso si è espressa recentemente la Corte di Cassazione con l’ordinanza 9700/2021 pubblicata lo scorso 13 aprile. Più in particolare, in questa ordinanza la Cassazione sostiene che l’accordo tra i genitori non è sufficiente ad autorizzare il padre a versare l’assegno direttamente al figlio maggiorenne, in quanto l’individuazione della madre quale beneficiario del versamento effettuata nella sentenza di separazione risponde ad un interesse superiore alla volontà delle parti. Interesse che non è modificabile mediante un semplice accordo privato, non ratificato dal tribunale.

In estrema sintesi: quanto stabilito nella sentenza prevale sulle successive manifestazioni di volontà dei genitori.

Pertanto, secondo questo orientamento, se la madre dapprima autorizza il versamento diretto al figlio, ma poi cambia idea e pretende il pagamento delle mensilità che non ha ricevuto, vi è il serio rischio di dover pagare due volte, una al figlio e l’altra alla madre.

Che cosa fare allora?

Per essere sicuri di poter pagare l’assegno direttamente al figlio maggiorenne ed evitare problemi serve un nuovo provvedimento con il medesimo peso giuridico della sentenza di separazione (o di divorzio o del decreto che regola i rapporti con il figlio nato da genitori non sposati).
In altre parole: è necessario modificare ufficialmente le regole vigenti sulle modalità di versamento dell’assegno, rivolgendosi nuovamente al tribunale oppure ricorrendo alla procedura della negoziazione assistita.

Fonte: Cassazione ordinanza n. 9700 del 13.4.2021

Spese straordinarie per i figli: le prassi dei tribunali

Nelle separazioni, il mantenimento dei figli viene stabilito prevedendo un assegno di importo fisso mensile a copertura del mantenimento ordinario, cui si aggiunge il rimborso a parte di una serie di spese (mediche, scolastiche, sportive, ecc.), definite spese straordinarie.

La Cassazione ha infatti affermato in più occasioni che vi sono spese che per il loro carattere eccezionale e non prevedibile o per l’importo rilevante non possono essere calcolate in anticipo e incluse nell’assegno mensile.

Di solito le spese straordinarie sono poste a carico dei genitori in misura del 50% ciascuno. Tuttavia, quando le condizioni economiche dei genitori sono diverse, possono essere anche poste in misura maggiore o per intero a carico di quello più facoltoso.

Ma quali sono esattamente le spese straordinarie?

La Cassazione ha stabilito che rientrano nelle spese straordinarie le spese non prevedibili. Ad esempio, le visite mediche.

Ha anche affermato che rientrano nelle spese straordinarie le spese che, nonostante siano prevedibili, sono di importo elevato. Se non rimborsate separatamente, queste spese andrebbero ad incidere in maniera significativa sull’assegno mensile, riducendolo o persino azzerandolo. Rientrano in questo tipo di spese, ad esempio, l’acquisto dei libri scolastici: è un acquisto prevedibile, ma la spesa in genere è rilevante.

Più in generale, la Cassazione ha sostenuto che fanno parte delle spese straordinarie tutte le spese relative alle decisioni più importanti per la crescita, la formazione e la salute dei figli . Tali spese devono essere concordate anticipatamente dai genitori, a meno che non abbiano carattere d’urgenza.

Questi criteri generali si prestano a diverse interpretazioni e il contenzioso sulle spese straordinarie è assai frequente. Non è sempre chiaro quali siano in concreto le tipologie di spese che rientrano negli extra, se debbano essere concordate tutte o solo alcune, con quali modalità debbano essere rimborsate.

Un esempio: i farmaci da banco si considerano spese straordinarie o fanno parte del mantenimento ordinario? I giudici hanno dato risposte discordanti.

Le prassi dei Tribunali

In assenza di specifiche disposizioni di legge, negli ultimi anni i tribunali hanno cercato di ridurre le controversie sulle spese extra mediante l’adozione di protocolli sulle spese straordinarie.

I protocolli sono regole uniformi che che vengono applicate di default (salvo che i genitori non si accordino in modo diverso) in tutti i casi in cui si deve regolare il mantenimento dei figli. Si applicano, dunque, alle separazioni, ai divorzi e ai procedimenti di modifica. Si applicano anche nei procedimenti relativi ai figli nati fuori dal matrimonio.

I protocolli hanno consentito di ridurre le vertenze sulle spese straordinarie, ma non hanno risolto tutti i problemi. Ogni tribunale ha infatti il proprio protocollo e i criteri cambiano da un tribunale all’altro, anche nell’ambito dello stesso distretto di Corte d’Appello.

In ogni caso si tratta indubbiamente di un passo in avanti rispetto al passato, in attesa che regole più precise vengano dettate in maniera uniforme a livello nazionale.

Nei protocolli, oltre all’elencazione delle spese straordinarie, sono indicate le modalità di rimborso. Spesso è previsto che la mancata risposta alla richiesta di rimborso vale come assenso, e ciò al fine di evitare condotte dilatorie da parte di chi deve pagare.

Sono anche specificate quali voci di spesa debbano essere previamente concordate tra i genitori e quali invece non richiedono il preventivo accordo, in quanto si tratta di spese ritenute di per sé rispondenti all’interesse del figlio o non concertabili.

Rientrano, ad esempio, tra le spese che non richiedono l’accordo tra i genitori le spese per l’acquisto dei libri scolastici. Vanno invece concordate le spese per visite mediche specialistiche in regime di libera professione.

Mantenimento dei figli maggiorenni: il nuovo criterio è l’autoresponsabilità

Il dovere di mantenere i figli costituisce uno dei principali obblighi dei genitori e continua anche dopo raggiungimento della maggiore età, fino a che il figlio non diventa economicamente autosufficiente, cioè fino a che non è in grado di provvedere a sè stesso.

Ma cosa si intende esattamente per indipendenza economica?

Il figlio è economicamente indipendente quando è in grado di mantenersi, ha trovato un lavoro stabile e raggiunto uno standard di vita adeguato agli studi svolti, alla formazione e alle proprie aspirazioni professionali. Si tratta di una condizione che al giorno d’oggi è piuttosto difficile da raggiungere.

E se in passato i giudici sono stati più morbidi, riconoscendo il diritto ad essere mantenuti anche a figli un po’ avanti negli anni, nell’ultimo anno, invece, diverse sentenze dei giudici di merito e della Corte di Cassazione hanno adeguato il contenuto del dovere di mantenimento dei figli all’evoluzione dei costumi sociali e del mondo del lavoro.

Trovare un lavoro è un dovere

Si è così affermato il principio di autoresponsabilità: il figlio non può pretendere di essere mantenuto dai genitori fino a che non trova un lavoro di proprio gradimento, ma deve attivarsi per ricercare fattivamente un posto di lavoro, qualora non intenda proseguire gli studi.

Più in particolare, con la sentenza 1783 del 2020 la Cassazione ha stabilito che il figlio che ha superato i diciott’anni e ha deciso di non studiare, ha l’obbligo di trovarsi un’occupazione, senza aspettare di trovare il lavoro dei suoi sogni.

Si tratta di un cambiamento di rotta importante, che tiene conto dei cambiamenti sociali in atto e della recessione economica che stiamo vivendo.

Però non mancano le eccezioni

Questa interpretazione non è però univoca. La stessa Corte di Cassazione, infatti,  in un’altra decisione (sentenza n. 19077 del 2020) ha ritenuto che il figlio di genitori ricchi, anche se è maggiorenne e capace di lavorare, ma non è in grado di raggiungere livelli reddituali analoghi a quelli garantiti dai genitori, ha diritto comunque ad un contributo di mantenimento che gli consente di conservare lo stesso tenore di vita della famiglia.

Il giudice tutelare e la funzione di vigilanza attiva

Si è molto discusso in dottrina della funzione di vigilanza attiva che il Giudice Tutelare è chiamato a svolgere sull’applicazione dei provvedimenti relativi ai figli minori, e più in particolare sull’attuazione delle regole fissate nei provvedimenti di separazione e di divorzio e nei provvedimenti relativi all’esercizio della responsabilità genitoriale sui figli nati fuori dal matrimonio e relative alle modalità di affidamento e ai tempi di permanenza dei figli presso ciascuno dei genitori.

Il potere di vigilanza

La norma di riferimento è l’articolo 337 del Codice civile, che stabilisce che il Giudice Tutelare ha il compito di vigilare sui provvedimenti relativi alla responsabilità genitoriale sui minori. La formulazione della norma è molto ampia, tanto che in un primo momento la giurisprudenza aveva ritenuto che il potere di vigilanza del Giudice Tutelare trovasse applicazione soltanto con riferimento ai provvedimenti con cui veniva tolta o ridotta la responsabilità genitoriale, vale a dire nei provvedimenti di decadenza e sospensione della responsabilità (o potestà, come si chiamava un tempo) genitoriale.

Più di recente, però, sono state emanate diverse sentenze che hanno riconosciuto che il giudice tutelare può vigilare in maniera attiva sull’attuazione dei provvedimenti di separazione e divorzio e su quelli relativi ai figli non matrimoniali, indipendentemente dal fatto che vi siano in essi misure limitative o ablative della responsabilità genitoriale.

In altre parole, è stato attribuito al Giudice Tutelare il compito di intervenire per far sì che i provvedimenti relativi ai rapporti genitori – figli trovino piena attuazione.

Un intervento concreto  e veloce

E così, ad esempio, se un genitore ostacola il rapporto tra i figli e l’altro genitore, si oppone agli incontri, accampa scuse, non consente all’altro di incontrare i bambini, il Giudice Tutelare può agire concretamente per fare in modo che i provvedimenti vengano attuati.

Il Giudice Tutelare può intervenire inoltre adottando misure volte a ripristinare la frequentazione tra i figli e uno dei genitori, se interrotta, o facilitare la gestione dei tempi di permanenza dei figli presso ciascuno dei genitori quando vi siano delle problematiche tra i genitori, magari dovute al fatto che le regole fissate nel provvedimento della separazione o del divorzio sono vaghe.

Vantaggi  e limiti

Il ricorso al Giudice tutelare rappresenta uno strumento particolarmente vantaggioso, in quanto il procedimento è snello e veloce e per questa ragione consente un intervento rapido ed efficace a tutela dei minori.
Il limite dell’intervento del Giudice Tutelare è che non può cambiare le regole già fissate, ma solo specificarle o agire per la loro attuazione.
Pertanto, quando le regole non sono più attuali perché è cambiata la situazione di fatto (questo può accadere, ad esempio, quando un genitore cambia casa e va a vivere lontano, rendendo non più applicabili le regole sulle visite ai figli), è necessario attivare altri strumenti.