Separazione e divorzio in undici domande

1. Che differenza c’è tra separazione e divorzio?

Separazione personale e divorzio sono due istituti giuridici diversi. La separazione è un passaggio necessario per poter chiedere il divorzio.

Con la separazione si allenta il vincolo del matrimonio, in particolare vengono meno alcuni doveri tipici del matrimonio, in particolare il dovere di convivenza e il dovere di fedeltà. Altri doveri coniugali si allentano: il dovere di assistenza materiale, ad esempio, rimane vivo nel caso ci sia una differenza tra le condizioni economiche dei coniugi.

Con la separazione i coniugi vengono autorizzati a vivere separati e possono smettere di vivere sotto lo stesso tetto.

Se i coniugi sono in regime di comunione legale, la separazione fa cessare la comunione legale.

La separazione però non fa venir meno il matrimonio: due persone separate restano comunque sposate, e pertanto non possono sposarsi in seconde nozze e sono l’una erede dell’altra, allo stesso modo dei coniugi non separati.

Il vincolo matrimoniale viene meno soltanto con il divorzio: il divorzio scioglie il matrimonio, consente ai coniugi di riacquistare lo stato civile libero, perciò di potersi risposare, e fa venir meno i diritti ereditari reciproci.

 

2. Quando posso chiedere la separazione?

Si può chiedere la separazione quando la crisi coniugale è irreversibile e si ritiene di non poter proseguire la convivenza matrimoniale. Si tratta di una scelta molto personale e soggettiva.

 

3. Quando posso chiedere il divorzio?

Per chiedere il divorzio è necessario che siano passati almeno sei mesi dalla separazione, se consensuale.

Se la separazione è stata giudiziale, deve passare almeno un anno dalla prima udienza. Si può chiedere il divorzio anche se la causa di separazione è ancora pendente, ma è necessario che sia stata emessa una sentenza non definitiva di separazione.

4. Che differenza c’è tra separazione consensuale e separazione giudiziale?

Separazione consensuale e giudiziale sono solo le due modalità per arrivare alla separazione legale.

La separazione consensuale è possibile quando i coniugi raggiungono un accordo sulle regole della loro separazione e stabiliscono assieme l’assetto della loro vita da separati, decidendo, ad esempio, chi resterà nella casa familiare, con chi staranno i figli, in che modo provvedere al mantenimento dei figli, ecc.

La separazione consensuale richiede la capacità dei coniugi di confrontarsi e trovare assieme una soluzione condivisa.

Una volta trovato, l’accordo dev’essere formalizzato mediante un provvedimento del tribunale ovvero, senza passare in tribunale, mediante un accordo di negoziazione assistita, cioè un vero e proprio contratto, sottoscritto alla presenza degli avvocati, che regolamenta la separazione.

La separazione giudiziale, invece, è una vera e propria causa davanti al tribunale, al quale si ricorre quando non è possibile trovare un accordo consensuale.

5. Che differenza c’è tra divorzio consensuale e giudiziale?

Anche il divorzio, come la separazione, può seguire una procedura consensuale o giudiziale.

Il divorzio consensuale richiede l’accordo dei coniugi sulle condizioni del divorzio.

L’accordo può essere formalizzato mediante il ricorso al tribunale: il tribunale, sentiti i coniugi in un’unica udienza, decide in camera di consiglio ed emette la sentenza di divorzio. Una volta che la sentenza è diventata definitiva, il divorzio è efficace anche ai fini dello stato civile. Da quel momento è possibile passare a nuove nozze.

Come la separazione, anche il divorzio consensuale si può fare mediante un accordo di negoziazione assistita, cioè un contratto firmato davanti agli avvocati. La procedura di negoziazione assistita non richiede la comparizione dei coniugi in tribunale, ma ci sono una serie di adempimenti che svolgono gli avvocati. Con la negoziazione assistita il divorzio è efficace dalla data della firma dell’accordo.

Quando non è possibile trovare un accordo sulle condizioni del divorzio, è necessario rivolgersi al tribunale con un ricorso per divorzio giudiziale, dando così avvio a una vera e propria causa.

 

6. Che cosa viene deciso nella separazione?

Gli aspetti che vengono decisi nella separazione sono vari.

Se ci sono figli, nella separazione dev’essere deciso il loro affidamento e la loro collocazione abitativa, cioè con quale genitore manterranno la residenza anagrafica, i tempi di permanenza presso l’altro genitore, le modalità di contribuzione al loro mantenimento.

Inoltre, si decidono le sorti della casa familiare: quando ci sono figli, la casa viene assegnata al coniuge che ha con sé i figli in via prevalente. Assegnazione vuol dire che il coniuge ha diritto di rimanere a vivere nella casa coniugale, anche se non è di sua proprietà, fino a che i figli non raggiungono l’indipendenza economica.
In assenza di figli, si dovrà stabilire chi resterà a vivere nella casa.

Nella separazione, inoltre, si deve regolare il contributo al mantenimento del coniuge, se ve ne sono i presupposti. In generale, l’assegno per il coniuge viene stabilito quando c’è una differenza significativa tra i redditi dei coniugi.

Nella separazione giudiziale, può essere discussa anche la domanda di addebito della separazione, cioè l’accertamento che le ragioni della crisi familiare sono state determinate dal comportamento di uno dei due coniugi. Questo accade, ad esempio, nel caso in cui la separazione sia stata causata da maltrattamenti o dall’adulterio.

 

7. Che cosa viene deciso nel divorzio?

Nel divorzio viene disposto lo scioglimento del matrimonio e per il resto vengono esaminati gli stessi temi che abbiamo visto sopra per la separazione, tranne la domanda di addebito.

L’addebito, infatti,  può essere chiesto solo nella separazione giudiziale. Nel divorzio non si torna più a discutere delle cause che hanno portato alla separazione, a meno che le cause non siano ritenute rilevanti ai fini della domanda di assegno divorzile.

Anche sotto il profilo economico ci sono alcune differenze tra l’assegno di mantenimento del coniuge che viene stabilito nella separazione e l’assegno di divorzio.  L’assegno divorzile, che è l’assegno che spetta al coniuge meno abbiente, si basa infatti su presupposti diversi dall’assegno di mantenimento del coniuge della separazione.

 

8. Le regole della separazione o del divorzio possono essere cambiate?

Le regole fissate nella separazione e nel divorzio non restano fisse nel tempo e possono essere cambiate ogni volta che intervengono fatti nuovi rilevanti che vanno ad incidere sull’assetto definito nella separazione o nel divorzio.

Si considerano rilevanti tutti gli eventi che riguardano la condizione lavorativa (ad esempio, la perdita del lavoro, il pensionamento, il passaggio ad un impiego più redditizio, ecc.) o la salute (ad esempio, l’invalidità sopravvenuta) o le nuove situazioni familiari dei coniugi (ad es. la convivenza stabile con un nuovo compagno, la nascita di un figlio) o ancora la crescita dei figli (ad es. il trasferimento all’estero, il raggiungimento dell’indipendenza economica, ecc.).

La modifica delle condizioni di separazione e divorzio non può essere concordata privatamente, ma richiede un atto formale, analogo a quello che si vuole modificare. Sarà dunque necessario un nuovo accordo ratificato dal tribunale o dagli avvocati nell’ambito della procedura di negoziazione assistita.

In mancanza di accordo, si può avviare un apposito procedimento di modifica delle condizioni di separazione o di divorzio. Si tratta di un procedimento che ha un iter veloce e una procedura semplificata.

 

9. Cosa devo fare se mio marito/mia moglie non si vuole separare?

Nel nostro ordinamento la separazione è un diritto, pertanto è sufficiente la volontà di uno solo dei coniugi.
Se l’altro non si vuole separare, si può comunque ottenere la separazione avviando il procedimento di separazione giudiziale.

10. Esiste la separazione per colpa?

Non c’è nel nostro ordinamento una separazione per colpa, ma è possibile chiedere nella separazione giudiziale che il tribunale accerti che la fine del matrimonio è stata causata dal comportamento di uno solo dei coniugi. Si tratta della domanda di addebito della separazione.

Serve a dimostrare che la causa della crisi coniugale è stata determinata dal comportamento di uno dei due coniugi che ha violato i doveri coniugali stabiliti dalla legge. I casi più frequenti riguardano l’adulterio (che integra violazione del dovere di fedeltà) e l’abbandono del tetto coniugale (il coniuge che va via di casa senza giusta causa viola il dovere di coabitazione).

L’addebito della separazione ha l’effetto di far venir meno il diritto all’assegno di mantenimento, se presente, e di far venir meno i diritti ereditari del coniuge cui la separazione viene addebitata. Inoltre, comporta la condanna al pagamento delle spese legali.

 

11. Quanto dura una causa di separazione o di divorzio giudiziale?

La durata è quella di un procedimento giudiziale, in genere ci vogliono almeno due, tre anni per arrivare alla decisione conclusiva. Alle volte anche di più, dipende anche dalla tipologia degli accertamenti istruttori che vengono chiesti. Ad esempio, se viene richiesta una perizia sulle condizioni economiche dei coniugi, si devono considerare anche i tempi tecnici necessari  per l’esecuzione dell’indagine.

In ogni caso, sia nella separazione che nel divorzio giudiziale, il tribunale già dalla prima udienza stabilisce regole provvisorie che disciplinano i rapporti tra i coniugi e con i figli. Queste regole possono sempre essere modificate nel corso del procedimento su richiesta dei coniugi e comunque possono essere modificate dalla sentenza che chiude il procedimento.

 

 

Ascolto del minore: a che età un figlio può decidere se stare con mamma o papà?

Quando una coppia di genitori con figli minori decide di separarsi una delle questioni più importanti è rappresentata dalla scelta della “collocazione” del figlio, vale a dire con quale dei genitori il figlio resterà ad abitare.

Se i genitori sono d’accordo, il figlio può non avere una collocazione prevalente e trascorrere tempi equivalenti con la madre ed il padre: i genitori si dovranno organizzare per assicurare al minore uno spazio abitativo adeguato alle sue esigenze. In questo caso si parla di “collocazione alternata” e la scelta dell’abitazione del padre o della madre rileva esclusivamente ai fini della residenza anagrafica.

L’accordo tra i genitori può anche prevedere la collocazione prevalente del figlio con la mamma o il papà e stabilire che il figlio incontri l’altro genitore per tempi specifici, ad esempio uno o due pomeriggi alla settimana ed il fine settimana a settimane alternate.

Se i genitori non trovano un accordo

In caso di disaccordo tra i genitori sulla scelta della collocazione e dei tempi di frequentazione, la decisione è rimessa al Giudice che deve determinarsi tenendo conto del preminente interesse del figlio stesso.

Il criterio fondamentale cui la decisione del Giudice è improntata è il diritto del figlio a mantenere un rapporto equilibrato e continuativo con ciascuno dei genitori, ricevere cura, educazione e istruzione da entrambi e conservare i rapporti significativi con gli ascendenti e con i parenti di ciascun ramo genitoriale.  Un elemento essenziale per la decisione del Giudice è dato dall’audizione dei figli minori.

L’ascolto del minore è obbligatorio se ha compiuto 12 anni

L’ascolto dei minori, previsto dalla Convenzione di New York del 1989 sui diritti del fanciullo, è obbligatorio nei procedimenti giudiziari che riguardano i figli ed in particolare in quelli relativi alla regolamentazione dei rapporti con i genitori.

L’articolo 337 octies del codice civile prevede che i figli che hanno compiuto i dodici anni di età devono essere sentiti dal Giudice, il quale nel decidere non potrà ignorare la volontà espressa dal figlio.

Se il minore ha meno di 12 anni

La norma prevede che l’audizione possa essere disposta anche in caso di bambini che hanno meno di dodici anni se “capaci di discernimento“, vale a dire capaci di elaborare concetti ed esprimerli in modo autonomo.

La valutazione sulla capacità di discernimento del minore infradodicenne è rimessa alla valutazione del giudice. Di norma, quando si tratta di bambini di età inferiore ai 12 anni, il Giudice si avvale dell’apporto di un consulente tecnico (di solito uno psicologo o un neuropsichiatra infantile) o dei Servizi Sociali, cui assegna il compito di valutare i rapporti genitoriali e la relazione tra i figli e ciascuno dei genitori.

Sul tema, la Cassazione con una sentenza del 2015, la n. 752, ha precisato che il giudice può valutare la capacità di discernimento del bambino con meno di 12 anni anche senza richiedere uno specifico accertamento tecnico e che l’attendibilità delle dichiarazioni di un minore non può essere messa in discussione solo per via della sua età.

Quanto conta la volontà manifestata dal minore

L’ascolto del minore ultradodicenne e anche di età inferiore se capace di discernimento, costituisce una modalità, tra le più importanti, di riconoscimento del suo diritto fondamentale ad essere informato e ad esprimere le proprie opinioni nei procedimenti che lo riguardano, nonché elemento di primaria importanza nella valutazione del suo interesse.

Nel decidere, il giudice è obbligato a tenere conto della volontà manifestata dal minore e può disattendere le dichiarazioni di volontà che emergono dall’ascolto soltanto vi siano delle ragioni specifiche ed in ogni caso motivando la sua decisione in maniera rigorosa e pertinente (lo ha stabilito la Cassazione nella sentenza n. 10776 del 2019).

Il Giudice può omettere l’ascolto del minore?

Sì, il giudice può decidere di non ascoltare il minore, quando ritenga che l’ascolto possa essere pregiudizievole per il minore oppure superfluo. In questo caso, il Giudice deve dare una motivazione approfondita.

Assegno di divorzio: il divario tra i redditi degli ex coniugi non sempre conta

La sentenza delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione del luglio 2018 ha chiarito che l’assegno divorzile assolve una funzione assistenziale e perequativo-compensativa. Ne abbiamo già parlato in un precedente articolo.

Secondo il nuovo orientamento interpretativo, ha diritto al riconoscimento di un assegno in sede di divorzio il coniuge che si trovi in una condizione economica inferiore rispetto all’altro a causa delle scelte fatte in funzione della vita matrimoniale, consistite – ad esempio – nel rinunciare alle proprie aspirazioni professionali per dedicarsi alla famiglia ed alla crescita dei figli.

Il primo criterio che il giudice del divorzio è chiamato ad accertare per la previsione dell’assegno divorzile è che vi sia un divario, uno squilibrio economico- patrimoniale tra le condizioni dei coniugi. Pertanto, se tale divario non è presente l’assegno di divorzio non può essere riconosciuto.

Secondo la Cassazione, lo squilibrio tra le condizioni economiche dei coniugi è un presupposto di fatto il cui accertamento di fatto è richiesto dalla legge per poter valutare il diritto all’assegno di divorzio.
Se la condizione economico patrimoniale dei coniugi è paritaria e non risulta influenzata dalle decisione assunte durante il matrimonio sulla conduzione della vita familiare, non vi è il diritto al riconoscimento di un assegno di divorzio. Allo stesso modo, condizioni di agiatezza particolarmente elevate di uno dei coniugi che non sono frutto delle scelte fatte durante il matrimonio non permettono il riconoscimento dell’assegno di divorzio.

Ma vi sono anche alcuni casi in cui, pur sussistendo uno squilibrio tra le condizioni economiche dei coniugi l’assegno di divorzio non può essere riconosciuto. Ciò accade nelle seguenti ipotesi:

– quando i coniugi hanno già definito al momento della separazione personale i reciproci rapporti economico-patrimoniali, tenendo anche conto del conseguenze negative della fine del matrimonio sulla sfera economica del coniuge meno abbiente, compensando così il sacrificio da questi fatto durante la vita coniugale (ad esempio, se c’è stato un trasferimento di somme di danaro o di beni immobili dall’uno all’altro in sede di separazione consensuale);

– quando il matrimonio ha avuto breve durata;

– quando l’età del coniuge che richiede l’assegno è ancora adeguata al suo ingresso nel mondo del lavoro;

– quando il coniuge che chiede l’assegno non ha svolto un ruolo determinante nella conduzione della vita familiare.

Quali sono i presupposti dell’assegno di divorzio?

Dopo l’intervento delle Sezioni Unite dalla Corte di Cassazione del luglio 2018 l’assegno di divorzio ha mantenuto come preponderante la funzione assistenziale, ovvero quella di fornire un supporto economico al coniuge che si trova in una condizione di svantaggio ed inferioritàeconomica rispetto all’altro.
A questa funzione, la Cassazione ha aggiunto la funzione contributivo-compensativa, vale a dire quella di compensare il sacrificio economico fatto dal coniuge che ha dato la priorità alle esigenze della famiglia rinunciando a realizzarsi sul lavoro e così comprimendo le proprie ambizioni professionali e la propria crescita lavorativa.
Presupposto indefettibile per il riconoscimento dell’assegno di divorzio è, dunque, la condizione di debolezza economica del richiedente. Ma è altresì necessario che questa condizione sia legata alle modalità con cui è stata condotta la vita familiare e sia conseguenza delle scelte fatte durante il matrimonio.
Questo accade, ad esempio, quando la moglie rinuncia ad una progressione di carriera o sceglie l’orario part-time, con conseguente riduzione dello stipendio, per occuparsi dei figli ed in tal modo agevola il marito, che può dedicarsi a tempo pieno al lavoro, crescere professionalmente ed incrementare i propri redditi.
Sfondo con immagine grigia e domanda "Dopo quanto tempo dalla separazione si può divorziare?"

Dopo quanto tempo dalla separazione si può divorziare?

La risposta dell’Avvocato Barbara D’Angelo

I tempi per ottenere il divorzio dopo la separazione dipendono dalla modalità con cui i due coniugi decidono di separarsi.

Vi è infatti la separazione giudiziale, che avviene qualora non vi sia accordo tra i coniugi e con cui si ricorre tramite procedimento in tribunale. In questo caso, il divorzio si può chiedere dopo 1 anno dalla prima udienza della separazione.

La modalità consensuale, invece, si realizza in Tribunale, in Comune o con la negoziazione assistita in presenza degli avvocati delle parti e permette di procedere al divorzio dopo 6 mesi dalla firma dell’accordo di separazione (nel caso di separazione effettuata in Comune o mediante negoziazione assistita) e dall’udienza in Tribunale (nel caso di separazione effettuata mediante ricorso congiunto in Tribunale).

Schermata con sfondo grigio con domanda "Quando spetta l'assegno all'ex coniuge?"

Quando spetta l’assegno all’ex coniuge

La risposta dell’Avvocato Barbara D’Angelo

Secondo la sentenza n. 18287/18 della Cassazione, lo scopo dell’assegno di divorzio è quello di garantire il sostentamento del coniuge più debole non in grado di automantenersi (funzione assistenziale dell’assegno di divorzio), ma anche quello di compensare le differenze reddituali e di equilibrare le condizioni dei coniugi, specie nel caso in cui uno dei due abbia sacrificato le proprie aspirazioni lavorative per dedicarsi alla famiglia d’intesa con l’altro coniuge (funzione perequativa e compensativa dell’assegno di divorzio). Il tutto va rapportato alla durata del matrimonio e ad altri fattori, quale a titolo esemplificativo, l’uso della casa coniugale.

Per questo l’assegno viene riconosciuto solo in certi casi specifici, tra i quali ad esempio quando l’ex coniuge:
è troppo giovane o troppo anziano per trovare un’occupazione;
è gravemente malato o invalido e quindi incapace di poter guadagnare;
non ha una formazione o un curriculum di esperienze lavorative, conseguenza dell’essersi dedicato alla famiglia, in accordo con l’altro coniuge, consentendo a quest’ultimo di concentrarsi sulla carriera.

Sfondo grigio con domanda "Come posso annullare il mio matrimonio"

Come posso annullare il mio precedente matrimonio?

La risposta dell’Avvocato Barbara D’Angelo

L’annullamento del matrimonio è consentito dalla legge soltanto in casi specifici (bigamia, incesto, errore, violenza, incapacità di intendere e volere, interdizione, ecc.) e richiede sempre una pronuncia del Tribunale.

Se il matrimonio è stato celebrato innanzi ai ministri della Chiesa Cattolica (matrimonio concordatario) è possibile ottenere l’annullamento anche presso il Tribunale Ecclesiastico, la Sacra Rota, secondo le regole del diritto canonico. La sentenza rotale esplica i suoi effetti anche nell’ordinamento italiano a seguito di un apposito procedimento di delibazione della Corte d’Appello.

L’annullamento del matrimonio si differenzia dal divorzio, in quanto fa sì che il matrimonio venga meno fin dall’origine, come se il matrimonio non fosse mai stato celebrato, mentre nel divorzio il matrimonio rimane valido sino alla pronuncia di divorzio.

Diritto all’assegno di divorzio viene meno anche senza convivenza con il nuovo partner

Per orientamento interpretativo ormai consolidato, non ha diritto all’assegno di divorzio l’ex coniuge che forma una famiglia di fatto, andando a convivere con il nuovo partner.

La giurisprudenza della Corte di Cassazione ha enunciato questo principio in numerose sentenze, evidenziando come la creazione da parte dell’ex coniuge di un’altra famiglia, anche se soltanto di fatto, fa venire meno definitivamente ogni presupposto per la riconoscibilità dell’assegno di divorzio, poiché rescinde ogni rapporto di solidarietà derivante dal precedente matrimonio.

Di questo tema avevamo già trattato in un articolo di qualche tempo fa: “All’ex coniuge che convive non spetta l’assegno di divorzio“.

Diritto all’assegno divorzile escluso nel caso di convivenza di fatto dell’ex coniuge con il nuovo partner

Per i giudici della Cassazione, la famiglia di fatto si caratterizza per la stabilità e la continuità degli affetti, per la condivisione di un progetto di vita e per la sussistenza tra i componenti della famiglia stessa di reciproci obblighi di assistenza morale ed economica, così come accade nella famiglia fondata sul matrimonio.

Finora le sentenze della Cassazione hanno escluso il diritto all’assegno divorzile nel caso di convivenza di fatto dell’ex coniuge con il nuovo partner. Ed invero, la convivenza sotto il medesimo tetto è elemento essenziale a dimostrazione della stabilità e della continuità del nuovo rapporto familiare, ma non è il solo.

La giurisprudenza di merito, infatti, si è spinta oltre, escludendo il diritto all’assegno di divorzio anche nel caso in cui l’ex coniuge richiedente l’assegno non conviva con il nuovo compagno, quando comunque risulti da altre circostanze che il medesimo ha creato una famiglia di fatto con un’altra persona.

Diritto all’assegno divorzile escluso anche senza convivenza effettiva: il caso del Tribunale di Como

In particolare, il Tribunale di Como ha ritenuto che per far cessare l’obbligo di solidarietà tra gli ex coniugi non è necessario che uno dei due abbia radicato una effettiva convivenza con il nuovo partner: quello che rileva è la formazione di una famiglia di fatto, con conseguente assunzione in capo ai suoi componenti degli obblighi di assistenza morale e materiale analoghi a quelli della famiglia matrimoniale, e ciò non richiede necessariamente la stabile convivenza sotto il medesimo tetto.

In particolare, si è rilevato che “la costituzione del nucleo familiare di fatto non è esclusa per il sol fatto che i due partners abbiano liberamente optato per soprassedere, al momento, dalla instaurazione di una stabile convivenza, il che del resto ben può avvenire anche per le coppie coniugate; anche in costanza di matrimonio, infatti, il dovere di coabitazione può essere derogato, per accordo tra i coniugi, nel superiore interesse della famiglia, per ragioni di lavoro, studio ecc.. sì da non escludere la comunione di vita interpersonale (cfr. Cass. 19439/11, 17537/03), e quindi non si vede perché non possa essere esercitabile detta facoltà anche da parte delle coppie non coniugate, unite affettivamente, e legate anche da reciproci diritti e doveri nei confronti della prole, le quali quindi ben possono essere intese come nucleo familiare di fatto o modello familiare atipico, anche in difetto di stabile coabitazione, ove il loro legame integri una comunione di vita interpersonale“.

Nel caso esaminato dal Tribunale di Como l’ex moglie richiedente l’assegno di divorzio non abitava stabilmente assieme al nuovo compagno, ma vi erano altri elementi significativi della sussistenza di una famiglia di fatto tra i due, quali la presenza di un figlio, la circostanza che tra la signora ed il partner vi era una relazione affettiva stabile e di frequente ella si recava a casa del compagno, la compartecipazione del compagno alle spese del figlio e la presenza di un progetto di vita condiviso. Insomma, una vera e propria comunione di vita interpersonale, a prescindere dalla convivenza effettiva.

Fonte: Tribunale di Como, ordinanza 12.4.2018 (est. Montanari).

Domanda "Dopo il divorzio ho iniziato una relazione. Posso presentare il nuovo partner a mio figlio?"

Relazione dopo divorzio. Posso presentare il nuovo partner a mio figlio?

La risposta dell’Avvocato Barbara D’Angelo

È regola di buon senso che la presenza di una nuova figura nella vita dei figli debba essere inserita con modalità non traumatiche e che rispettino la sensibilità dei figli, evitando la sovrapposizione dei ruoli.

Le clausole che alle volte vengono inserite negli accordi di separazione o di divorzio in cui si prevede l’obbligo per i coniugi di introdurre nuovi compagni in modo graduale nella vita dei figli, così come quelle che vietano i contatti per un certo periodo di tempo, non costituiscono un vero e proprio obbligo giuridico. Si tratta più che altro di un impegno morale che, se violato, non comporta l’applicazione di una sanzione, salvo che non abbia comportato gravi conseguenze pregiudizievoli sui minori.

Domanda "Il mio ex non paga il mantenimento: posso denunciarlo?"

Il mio ex non paga l’assegno di mantenimento: posso denunciarlo?

La risposta dell’Avvocato Barbara D’Angelo

Contribuire al mantenimento della moglie, anche divorziata, e dei figli è un obbligo che, se violato, espone al rischio di sanzioni penali ai sensi degli articoli 570 (violazione degli obblighi di assistenza familiare), 570 bis c.p. (violazione degli obblighi di assistenza familiare in caso di separazione o di scioglimento del matrimonio) e 388 (violazione dolosa di provvedimento dell’autorità giudiziaria) del codice penale. È quindi possibile effettuare una denuncia.

Gli artt. 570 e 388 del codice penale si applicano anche in caso di mancato mantenimento dei figli nati fuori dal matrimonio.