Il dovere di mantenimento dei figli è sancito dall’art. 30 della Carta costituzionale (“è dovere e diritto dei genitori mantenere, istruire ed educare i figli, anche se nati fuori dal matrimonio“) ed ulteriormente specificato dagli artt. 315 bis e 316 bis c.c., come modificati dalla legge 219/2012, con la quale sono state unificate le norme in materia di filiazione, sulla scorta del principio della identità dello stato giuridico dei figli, a prescindere dalla circostanza che siano nati da genitori uniti in matrimonio o meno.
La regola cardine è il principio di proporzionalità.
Più esattamente, il primo comma dell’art. 315 bis c.c. sancisce che “il figlio ha diritto di essere mantenuto, educato, istruito ed assistito moralmente dai genitori, nel rispetto delle sue capacità, delle sue inclinazioni naturali e delle sue aspirazioni“.
L’art. 316 bis c.c., titolato “Concorso nel mantenimento“, stabilisce al primo comma che “i genitori devono adempiere i loro obblighi nei confronti dei figli in proporzione alle rispettive sostanze e secondo la loro capacità di lavoro professionale o casalingo“, specificando, nei successivi commi, che, in caso di insufficienza delle risorse economiche dei genitori, gli ascendenti sono tenuti a fornire ai genitori stessi i mezzi necessari per provvedere all’obbligazione di mantenimento.
L’obbligo di mantenimento è parte integrante della responsabilità genitoriale, ovvero dell’insieme di diritti e doveri che competono ai genitori e che sorgono per il solo fatto della procreazione, dall’aver messo al mondo il figlio. La giurisprudenza della Corte di Cassazione ha chiarito che si tratta di doveri e obblighi indisponibili, vale a dire che non possono essere derogati per volontà dei soggetti interessati, poiché sono finalizzati al pieno sviluppo della personalità del figlio (cfr. inter multis, Cass. civ. 26.5.2004, n. 10102).
L’interpretazione giurisprudenziale ha inoltre sottolineato che l’obbligo di mantenimento dei figli impone di provvedere non soltanto ai bisogni strettamente alimentari della prole, ma a tutte le necessità di cura ed educazione dei figli, e dunque alle esigenze abitative, scolastiche, sanitarie, sociali, ricreative, sportive ecc., ovvero a tutto ciò che serve al figlio per crescere.
Il criterio di riferimento principale per la ripartizione degli oneri di mantenimento dei figli in capo ai genitori è, dunque, il principio di proporzionalità: ciascuno dei genitori è tenuto a provvedere in proporzione alle rispettive sostanze e dunque ai redditi ed al patrimonio, nonchè alla capacità di lavoro, professionale o casalingo.
Tale principio, acclamato dall’art. 316 bis c.c. già citato, è ribadito dall’art. 337 ter c.c. che regola l’esercizio della responsabilità genitoriale a seguito della separazione dei genitori e dell’interruzione della convivenza di fatto.
I parametri di quantificazione dell’assegno mensile.
L’art. 337 ter c.c. da un lato disciplina l’affidamento dei figli, prevedendo come regola generale l’affidamento condiviso del figlio ad entrambi i genitori, dall’altro ribadisce che “ciascuno dei genitori provvede al mantenimento dei figli in misura proporzionale al proprio reddito” ed elenca i parametri di riferimento nella quantificazione del contributo mensile per il mantenimento dei figli. Si tratta, più esattamente, dei seguenti parametri:
1) le attuali esigenze del figlio;
2) il tenore di vita goduto dal figlio in costanza di convivenza con entrambi i genitori;
3) i tempi di permanenza presso ciascun genitore;
4) le risorse economiche di entrambi i genitori;
5) la valenza economica dei compiti domestici e di cura assunti da ciascun genitore.
La norma in esame, inoltre, stabilisce l’automaticità dell’adeguamento ISTAT dell’assegno mensile, derogabile soltanto qualora vengano stabiliti altri parametri dalle parti o dal giudice.
L’assegnazione della casa coniugale e il suo peso economico.
Ulteriore elemento di rilievo economico, ai sensi dell’art. 337 sexies c.c., è costituito dall’assegnazione della casa dove la famiglia ha vissuto fino alla disgregazione del nucleo. Per legge, in caso di separazione dei genitori la casa familiare dev’essere assegnata al genitore convivente con i figli, e ciò risponde all’esigenza prioritaria di tutelare i figli e garantire loro la conservazione dell’ambiente domestico e di vita nel quale sono vissuti fino alla separazione dei genitori, evitando loro ulteriori traumatici cambiamenti.
La norma citata stabilisce che dell’assegnazione della casa familiare si debba tenere conto nella regolazione dei rapporti economici tra i genitori, considerato l’eventuale titolo di proprietà.
In buona sostanza, l’assegnazione dell’ex casa familiare consente ad uno dei genitori di rimanere a viverci con i figli, disponendo dell’immobile e di tutti i mobili e gli arredi ivi presenti, anche se di proprietà esclusiva dell’altro genitore. Ciò ovviamente incide sull’assetto economico in quanto per il genitore assegnatario si realizza un risparmio di spesa (dato che rimane nel domicilio familiare a titolo gratuito), mentre l’altro genitore si troverà a dover sostenere spese abitative per la locazione o l’acquisto di un altro immobile in cui si trasferirà a vivere.
Per altro verso, qualora il genitore collocatario dei figli rinunci all’assegnazione dell’ex casa familiare si realizza un vantaggio economico per l’altro genitore, proprietario dell’immobile, il quale può continuare a fruirne senza dover sostenere ulteriori spese abitative, ed uno svantaggio per il primo genitore, che dovrà farsi carico delle spese necessarie per disporre di una propria sistemazione abitativa.
Non vi sono criteri di calcolo specifici per il mantenimento dei figli, ma parametri indicativi.
La legge, dunque, non fissa criteri di calcolo specifici ed automatici, ma indica dei parametri valutazione al quale i genitori e il giudice devono attenersi per ottenere la corretta quantificazione dell’assegno mensile. Ed il criterio di correttezza attiene all’interesse primario del figlio e al diritto del medesimo di crescere fruendo di risorse economiche adeguate, oltre che alle proprie esigenze, agli standard di vita della famiglia in cui è nato.
Sulla base dei parametri di legge alcuni Tribunali italiani hanno elaborato dei modelli di calcolo: il Tribunale di Firenze, insieme alla Facoltà di Economia, ha elaborato un Modello per calcolare l’assegno di mantenimento (MoCAM) ed il Tribunale di Monza, ha predisposto nel 2008 delle Tabelle (acquisite quale strumento di riferimento in numerosi tribunali) che riassumono le ipotesi più ricorrenti e le possibili soluzioni con riferimento all’assegno di mantenimento del coniuge e dei figli.
Tali tabelle, in particolare, portano all’individuazione di un criterio di liquidazione indicativo dell’assegno pari ad un terzo del reddito presunto del genitore tenuto al versamento dell’assegno, nell’ipotesi in cui non vi sia stata assegnazione della casa familiare in favore del genitore convivente. L’importo così ottenuto va, poi, modulato, tenendo conto della complessiva situazione patrimoniale delle parti; il reddito è, infatti, soltanto uno dei dati da considerare nella quantificazione dell’assegno mensile.
Il Tribunale di Bologna non ha elaborato sistemi di calcolo tabellari, rimettendo la valutazione alla discrezionalità dei singoli magistrati, ma in generale, dalle decisioni in materia di separazione, divorzio e regolamentazione della responsabilità genitoriale dei figli nati fuori dal matrimonio, si può ricavare ad una proporzione dell’ammontare dell’assegno rispetto ai redditi del genitore tenuto al versamento in linea con i parametri indicati dalle tabelle di Monza.
Fino a quando è dovuto l’assegno mensile di mantenimento?
L’obbligo di contribuire al mantenimento del figlio tramite assegno mensile non cessa con il raggiungimento della maggiore età da parte del figlio, ma permane anche oltre, fino a che il figlio non abbia raggiunto l’autosufficienza economica.
Il concetto di autosufficienza è, peraltro, un concetto assai relativo che – secondo l’interpretazione della giurisprudenza – si verifica con la percezione di un reddito corrispondente alla professionalità acquisita e in grado di consentire al figlio un tenore di vita dignitoso, con prospettive concrete, anche in relazione alla propria specializzazione e formazione (da ultimo si veda Cass. civ. 20/12/2017, n. 30540: “Il contributo al mantenimento per il figlio maggiorenne non cessa automaticamente ma continua fino a che il genitore contribuente non dimostri che il figlio ha raggiunto l’indipendenza economica o che la mancata autonomia dipenda dalla sua colpevole inerzia, intendendosi con ciò, sostanzialmente, l’ingiustificato rifiuto di occasioni lavorative ordinarie”).
L’assegno mensile può essere versato direttamente al figlio maggiorenne?
La nuova formulazione dell’art. 337 septies c.c. rimette al giudice la facoltà di prevedere la corresponsione diretta dell’assegno mensile al figlio maggiorenne. Ciò esclude che il genitore possa autonomamente iniziare a versare l’assegno in via diretta al figlio.
Dovrà, pertanto, esserci l’accordo anche dell’altro genitore, che autorizzi il versamento diretto dell’assegno a mani del figlio.