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Se i genitori non sono d’accordo sulla scelta della scuola

In un procedimento di separazione personale, i coniugi non riescono a decidere assieme se iscrivere i figli alla scuola pubblica o ad una scuola privata: un genitore sostiene che i bambini dovrebbero continuare a frequentare l’istituto paritario cui erano già iscritti prima della separazione, l’altro si oppone, rappresentando di non essere più in condizione di far fronte alle elevate spese della scuola privata. La decisione viene rimessa al  giudice della separazione, che opta per la scuola pubblica.

Il ragionamento seguito dal Tribunale di Milano, nella recente sentenza n. 3521 del 18.3.2016, prende le mosse dalla constatazione che la separazione determina un impoverimento dei membri della famiglia, al momento che si passa da un’unica economia a due economie domestiche distinte, con conseguente incremento delle spese, molte delle quali (casa, acquisto di alimenti, ecc.) necessariamente si sdoppiano a  causa della separazione.

Di tale dato il giudice deve tenere conto, trattandosi di un elemento di fatto che incide, in concreto, sul tenore di vita dei componenti della famiglia, tenore di vita che, per ragioni oggettive, non può essere dopo la separazione equivalente a quello che aveva il nucleo prima della frattura. E, dunque, quand’anche in precedenza i figli avessero frequentato scuole private di pregio e di ottimo livello, questa possibilità può anche venire meno quando i genitori si separano e non sono più dello stesso parere sulla scelta iniziale.

In questo caso – sancisce il Tribunale di Milano – la preferenza va data alla scuola pubblica, quando non vi siano controindicazioni per i minori: e ciò poichè la scuola pubblica è ritenuta idonea dall’ordinamento allo sviluppo culturale di qualsiasi minore residente sul territorio ed inoltre rappresenta una scelta “neutra“, che non rischia di orientare il minore verso determinate scelte educative o di orientamento culturale cui potrebbe essere indirizzato dalla scuola privata.

L’opzione in favore dell’istruzione pubblica è, dunque, da privilegiare, a meno che non vi siano delle situazioni particolari (specialmente se riconducibili a difficoltà di apprendimento, fragilità di inserimento con i coetanei, esigenze di coltivare gli studi e la formazione in sintonia con la dotazione culturale o l’estrazione nazionale dei genitori, ecc.), che rendano oggettiva l’esigenza del minore di frequentare la scuola privata.

Fonte: Tribunale di Milano, sentenza n. 3521 del 18.3.2016 (est. Buffone)

 

Quando l’ex non versa il mantenimento, paga lo Stato?

Il punto di domanda è d’obbligo. Con la Legge di Stabilità 2016 è stata disposta la costituzione, in via sperimentale, di un Fondo di Solidarietà a tutela del coniuge in stato di bisogno in caso di mancato versamento dell’assegno di mantenimento da parte dell’altro coniuge.

Ad oggi l’accesso al Fondo non è praticabile, in quanto non sono ancora stati emanati decreti ministeriali di attuazione della norma, nonostante sia ampiamente decorso il termine ( 31 gennaio 2016) fissato nella Legge per la loro adozione.

Per ora, dunque, possiamo soltanto anticipare come funzionerà, sulla base di quanto previsto nella Legge di Stabilità.

Potrà accedere al Fondo il coniuge separato

a) titolare di un assegno di mantenimento che non venga versato dall’altro coniuge, e

b) che si trovi in stato di bisogno e non sia in grado di provvedere al mantenimento proprio e dei figli conviventi minorenni o maggiorenni portatori di handicap grave.

L’avente diritto dovrà depositare presso il Tribunale di residenza una specifica domanda per ottenere l’anticipazione da parte dello Stato delle somme non percepite.

E’ presumibile – lo chiariranno meglio i decreti attuativi – che alla domanda debba essere allagata la documentazione attestante la sussistenza del diritto (verbale di separazione consensuale e decreto di omologa, sentenza, accordo di negoziazione assistita), la prova dell’inadempimento (quale una lettera di messa in mora o un atto di precetto) e la dimostrazione  dello stato di bisogno e dell’impossibilità di provvedere al proprio mantenimento ed a quello dei figli (dichiarazioni fiscali, modelli ISEE, ecc.).

Il Tribunale, entro 30 giorni, dovrà pronunciarsi sulla domanda, emettendo un decreto di accoglimento, qualora sussistano i requisiti,  o di rigetto, nel caso in cui non ravvisi la sussistenza dei presupposti per l’accesso al Fondo. Il decreto di rigetto è per legge non impugnabile.

Il decreto di accoglimento verrà trasmesso al  Ministero della Giustizia ai fini della corresponsione delle somme richieste. Il Ministero potrà successivamente rivalersi sul coniuge inadempiente per il recupero degli importi erogati.

Il nuovo istituto risponde all’esigenza di fronteggiare in modo concreto le difficoltà economiche che, sempre più frequentemente, conseguono alla separazione personale.

La formulazione della norma presenta, tuttavia, alcuni profili critici sui quali è opportuno soffermarsi.

Anzitutto, non è previsto l’accesso al Fondo di Solidarietà per il coniuge divorziato: questa esclusione, di fatto, crea una ingiustificata ed illegittima disparità di trattamento tra separati e divorziati. Ed ugualmente discriminatoria, considerato che presupposto per l’accesso al Fondo è la convivenza del coniuge separato con i figli minori o maggiorenni portatori di handicap grave,  è l’assenza di tutela per i figli nati da unioni more uxorio.

Ed inoltre, la norma di presta il fianco a possibili abusi e frodi, non potendosi escludere che qualche coniuge si accordi per ottenere una sorta di sussidio, con l’impossibilità per lo Stato di recuperare le somme anticipate se il coniuge obbligato è nullatenente.
Il necessario passaggio in Tribunale, poi, contrasta nettamente con le ultime tendenze del legislatore orientato alla deflazione del contenzioso.

Insomma, l’idea è buona, ma il risultato – come purtroppo spesso accade quando manca un approccio sistematico alla risoluzione di una questione – non è ancora soddisfacente.

Fonte: Legge n. 208 del 28.12.2015, artt. 414 -416.

Niente imposte e tasse per le cessioni immobiliari nella separazione e nel divorzio

Gli ultimi interventi legislativi in tema di separazione e divorzio vanno tutti nel senso del riconoscimento di una sempre maggiore autonomia negoziale alle parti. Si pensi alla normativa in materia di negoziazione assistita, con cui la separazione, il divorzio e la modifica delle condizioni di separazione e di divorzio sono state svincolate dal passaggio in Tribunale, prima necessario.
In tale modo é stato riconosciuto un ruolo centrale alla libertà dei coniugi di disciplinare i reciproci rapporti, personali e patrimoniali, nella crisi coniugale.

Sulla stessa scia si colloca l’interpretazione giurisprudenziale della Corte di Cassazione, la quale é da ultimo intervenuta sul dibattuto tema dell’esenzione fiscale degli accordi patrimoniali, inclusi i trasferimenti immobiliari, inseriti dai coniugi negli accordi di separazione e di divorzio.

Al riguardo, vale ricordare che l’art.19 della legge 74/87, di modifica della legge 898/70 sul divorzio, ha sancito che “tutti gli atti, i documenti ed i provvedimenti relativi al procedimento di scioglimento del matrimonio o di cessazione degli effetti civili del matrimonio nonché ai procedimenti anche esecutivi e cautelari diretti ad ottenere la corresponsione o la revisione degli assegni di cui agli artt. 5 e 6 della legge 1° dicembre 1970, n. 898, sono esenti dall’imposta di bollo, di registro e da ogni altra tassa”.

La norma – applicabile anche alla separazione personale a seguito dell’intervento della Corte Costituzionale (sent. n. 154/99) – non presenta una formulazione chiara, ed in particolare ha generato dubbi interpretativi il termine “relativi” utilizzato per indicare gli “atti, documenti e provvedimenti ” esenti da tassazione.

Con una sentenza del 2001, la Corte di Cassazione aveva cercato di fare chiarezza, operando una distinzione tra accordi essenziali, che costituiscono il contenuto tipico della separazione o del divorzio, vale a dire la regolamentazione dei rapporti con i figli, l’ assegnazione della casa familiare ed il mantenimento) ed accordi occasionali, che sono stati raggiunti in occasione ed al momento della separazione o del divorzio, ma che non sono indispensabile ai fini della separazione o del divorzio. Tipico esempio di accordo occasione è il trasferimento della proprietà della casa coniugale o di una quota di essa da un coniuge all’altro ovvero il trasferimento della proprietà di altri beni immobili o mobili registrati.
Sulla base di questo distinguo, la Cassazione aveva precisato che l’esenzione fiscale operava soltanto per gli accordi essenziali, e non per gli accordi occasionali, i quali erano invece soggetti all’ordinario regime fiscale (Cass. civ. n. 1531/2001).
L’obiettivo era evitare condotte elusive, consistenti nell’inserimento nelle condizioni di separazione o di divorzio di patti traslativi, non effettivamente pertinenti con la separazione o il divorzio, al solo scopo di fruire dell’esenzione.

La recente sentenza n. 2111/16 del 3.2.2016 ha superato questa interpretazione, ed ha riconosciuto dunque l’applicabilità dell’esenzione da imposte e tasse di tutti gli accordi, inclusi i trasferimenti immobiliari, conclusi dai coniugi in sede di separazione o divorzio.
La Suprema Corte ha sottolineato come l’orientamento del 2001 sia oggi del tutto obsoleto, sia alla luce dell’evoluzione della normativa fiscale in materia di abuso del diritto (art. 10 bis della legge 212/2000, introdotto dal d. Lgs. 128/2015), sia in considerazione della recente apertura legislativa alla libertà negoziale dei coniugi.
Sottolineano i giudici delle leggi che oggi il consenso e l’accordo dei coniugi hanno un ruolo centrale nella definizione della crisi coniugale e nella regolamentazione dei rapporti reciproci, anche patrimoniali. Pertanto, tutti gli accordi raggiunti nell’ambito della definizione consensuale della separazione e del divorzio, comprese le cessioni di immobili, beneficiano dell’esenzione di cui all’art. 19.

Fonte: Cass. civ. sentenza n. 2111/2016 del 3.2.2016.