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Assegnazione della casa familiare nella separazione: criteri, diritti e doveri

L’assegnazione della casa familiare è una misura prevista dal nostro ordinamento per tutelare il benessere dei figli minori e garantire loro stabilità e continuità abitativa anche dopo la separazione o il divorzio dei genitori. Questo provvedimento ha come obiettivo principale la protezione degli interessi della prole, permettendo loro di continuare a vivere nell’ambiente domestico che conoscono, riducendo al minimo i traumi e i disagi derivanti dalla disgregazione del nucleo familiare.

La normativa di riferimento

La regolamentazione dell’assegnazione della casa familiare è disciplinata principalmente dagli articoli 337 ter e 337 sexies del codice civile. Questi articoli stabiliscono i criteri e le modalità con cui viene deciso l’assegnazione dell’abitazione familiare, ponendo particolare attenzione agli interessi dei figli minori ed evidenziando anche i risvolti economici dell’assegnazione.

Quali sono i criteri di assegnazione?

 

  1. Interessi dei figli: la casa familiare viene assegnata al genitore con cui i figli minori convivono stabilmente. L’assegnazione mira a preservare l’ambiente domestico, le abitudini e le relazioni affettive dei minori, considerati fondamentali per il loro sviluppo equilibrato e sereno. L’assegnazione è prevista anche in presenza di figli maggiorenni non economicamente autosufficienti e anche in caso di figli maggiorenni  con gravi disabilità.

 

  1. Stabilità abitativa: viene valutato il tempo e la stabilità con cui il figlio ha vissuto nella casa familiare. La continuità abitativa è considerata un elemento cruciale per evitare ulteriori traumi ai bambini.

 

  1. Condizioni economiche: anche le condizioni economiche dei genitori vengono prese in considerazione.  Il tribunale valuta l’impatto economico dell’assegnazione sia sul genitore che mantiene il possesso della casa, sia su quello che ne perde la disponibilità.

 

  1. Diritti di proprietà: Se la casa familiare è di proprietà esclusiva di uno dei genitori, questo elemento viene considerato nella decisione, ma non prevale sugli interessi della prole. L’assegnazione può comunque essere disposta a favore dell’altro genitore se ciò risponde meglio alle esigenze dei figli.

Quanto dura l’assegnazione?

L’assegnazione della casa familiare ha una durata che è strettamente legata alle esigenze dei figli . Il diritto di abitazione cessa quando i figli diventano economicamente autosufficienti. In alcuni casi, l’assegnazione può essere rivista se cambiano le condizioni personali o economiche dei genitori o dei figli.

Quali diritti e doveri discendono dall’assegnazione?

  1. Usufrutto e diritto d’abitazione: Il genitore assegnatario non acquisisce la proprietà dell’immobile, né i diritti reali di usufrutto o di abitazione, acquista più semplicemente un diritto personale di godimento dell’immobile limitato al periodo necessario per il benessere dei figli.
  2. Manutenzione e spese: Le spese di manutenzione ordinaria dell’immobile restano a carico del genitore assegnatario, mentre quelle straordinarie spettano al proprietario dell’immobile.

Nel prossimo articolo esamineremo una recente sentenza della Corte d’appello di Milano che affronta proprio il tema dell’assegnazione della casa familiare.

 

Assegno di divorzio: il divario tra i redditi degli ex coniugi non sempre conta

La sentenza delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione del luglio 2018 ha chiarito che l’assegno divorzile assolve una funzione assistenziale e perequativo-compensativa. Ne abbiamo già parlato in un precedente articolo.

Secondo il nuovo orientamento interpretativo, ha diritto al riconoscimento di un assegno in sede di divorzio il coniuge che si trovi in una condizione economica inferiore rispetto all’altro a causa delle scelte fatte in funzione della vita matrimoniale, consistite – ad esempio – nel rinunciare alle proprie aspirazioni professionali per dedicarsi alla famiglia ed alla crescita dei figli.

Il primo criterio che il giudice del divorzio è chiamato ad accertare per la previsione dell’assegno divorzile è che vi sia un divario, uno squilibrio economico- patrimoniale tra le condizioni dei coniugi. Pertanto, se tale divario non è presente l’assegno di divorzio non può essere riconosciuto.

Secondo la Cassazione, lo squilibrio tra le condizioni economiche dei coniugi è un presupposto di fatto il cui accertamento di fatto è richiesto dalla legge per poter valutare il diritto all’assegno di divorzio.
Se la condizione economico patrimoniale dei coniugi è paritaria e non risulta influenzata dalle decisione assunte durante il matrimonio sulla conduzione della vita familiare, non vi è il diritto al riconoscimento di un assegno di divorzio. Allo stesso modo, condizioni di agiatezza particolarmente elevate di uno dei coniugi che non sono frutto delle scelte fatte durante il matrimonio non permettono il riconoscimento dell’assegno di divorzio.

Ma vi sono anche alcuni casi in cui, pur sussistendo uno squilibrio tra le condizioni economiche dei coniugi l’assegno di divorzio non può essere riconosciuto. Ciò accade nelle seguenti ipotesi:

– quando i coniugi hanno già definito al momento della separazione personale i reciproci rapporti economico-patrimoniali, tenendo anche conto del conseguenze negative della fine del matrimonio sulla sfera economica del coniuge meno abbiente, compensando così il sacrificio da questi fatto durante la vita coniugale (ad esempio, se c’è stato un trasferimento di somme di danaro o di beni immobili dall’uno all’altro in sede di separazione consensuale);

– quando il matrimonio ha avuto breve durata;

– quando l’età del coniuge che richiede l’assegno è ancora adeguata al suo ingresso nel mondo del lavoro;

– quando il coniuge che chiede l’assegno non ha svolto un ruolo determinante nella conduzione della vita familiare.

Assegno di divorzio: il tenore di vita non conta più

Nuovi parametri di riferimento per il riconoscimento dell’assegno di divorzio: per stabilire se il coniuge divorziato ha diritto all’assegno post-coniugale non va valutato il tenore di vita del matrimonio, ma soltanto l’autosufficienza economica del coniuge richiedente.

Questo è quanto stabilito dalla recentissima sentenza della Corte di Cassazione n. 11054 depositata il 10 maggio scorso, oggetto, per la sua portata innovativa (e per la notorietà della parti in causa), di una notevole attenzione mediatica.

Con questa sentenza, infatti, i giudici della Cassazione hanno rivoluzionato l’orientamento giurisprudenziale in materia, giungendo a conclusioni nuove, destinate ad incidere sull’assetto economico di molti ex coniugi.

Dal tenore di vita della famiglia…

In precedenza, infatti, si era consolidata l’interpretazione per cui l’assegno di divorzio andava riconosciuto tenendo conto del tenore di vita tenuto dalla famiglia quando era unita. E dunque l’assegno divorzile poteva essere riconosciuto anche in favore dell’ex coniuge che avesse una condizione economica tale da poter essere autosufficiente.
Più esattamente, l’assegno veniva riconosciuto anche se il coniuge richiedente aveva redditi e proprietà, soltanto per il fatto che l’altro coniuge versava in una condizione economica più florida del richiedente.
Questa interpretazione era tesa a tutelare il coniuge più debole, generalmente la moglie, che aveva sacrificato la propria carriera lavorativa e rinunciato ad ambizioni professionali per occuparsi della famiglia, alla cura dei figli e della casa, così permettendo al marito di dedicarsi alla carriera e di garantire alla famiglia un determinato tenore di vita .
Cessato il matrimonio, al coniuge meno abbiente veniva riconosciuto l’assegno, in modo da garantirgli di conservare quel tenore di vita conseguito dall’altro coniuge anche grazie al suo sacrificio.

… all’autoresponsabilità economica

Con la recente sentenza, la Cassazione cambia completamente prospettiva.
Il tenore di vita non va più tenuto in considerazione, ma quello che conta è l’autosufficienza economica.
Con una nuova interpretazione dell’art. 5 della legge 898/1970 sul divorzio, la Cassazione enfatizza la funzione assistenziale dell’assegno di divorzio, evidenziando che l’assegno va disposto nei casi in cui il coniuge non abbia risorse economiche tali da renderlo indipendente.

Non conta più il tenore di vita del matrimonio: con il divorzio il rapporto matrimoniale si estingue sul piano personale e patrimoniale, fare riferimento al tenore di vita del matrimonio rappresenta una forzatura, determinando il perdurare tra le parti di un vincolo che di fatto è sciolto.

Il criterio cui i giudici chiamati a decidere dell’assegno di divorzio devono attenersi è l’autoresponsabilità economica, secondo cui ciascuno, indipendentemente da chi abbia sposato e dal tenore di vita della famiglia, deve provvedere a sè stesso autonomamente.

Nessun assegno dunque verrà riconosciuto, dunque, a chi sarà in grado di cavarsela da solo, anche se il tenore di vita condotto con i propri mezzi sarà inferiore a quello tenuto durante il matrimonio.

Autosufficienza economica: quali sono gli elementi da valutare?

Per decidere se vi sono i presupposti dell’assegno il giudice dovrà valutare soltanto vale a l’indipendenza o l’autosufficienza economica del coniuge che richiede l’assegno divorzile.

In concreto, gli aspetti che il giudice dovrà valutare sono i seguenti:

– l’esistenza di redditi di qualsiasi specie
– la capacità e le possibilità effettive di lavoro
– la proprietà di beni immobili e mobili
– la disponibilità di una casa di abitazione.

Naturalmente, spetterà alla parte che chiede l’assegno dimostrare le proprie condizioni economiche, con documenti, testimonianze ed ogni altra prova utile a provare che la domanda di assegno divorzile è fondata.

Il principio di solidarietà economica per quantificare l’assegno

Una volta accertato che il coniuge non è autosufficiente e dunque vi sono i presupposti per il riconoscimento dell’assegno, la misura andrà determinata dal giudice tenendo conto del principio di solidarietà economica, ovvero del vincolo solidaristico che permane tra gli ex coniugi.
Andranno valutati il contributo dato da ciascuno alla conduzione della famiglia e alla formazione del reddito e del patrimonio dell’altro e di quello comune, la durata del matrimonio e le ragioni della decisione, secondo quanto stabilito dall’art. 5 della legge sul divorzio.
Fonte: Sentenza Cassazione civile n. 11504 del 10.5.2017

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Assegno di mantenimento e pagamento del mutuo

La Cassazione penale è tornata di recente ad affrontare il tema della mancata corresponsione del contributo al mantenimento dei figli da parte del genitore obbligato.
Decidendo in un caso nel quale l’imputato era stato condannato, tra l’altro, ex art. 12 sexies L. 898/70 per essersi sottratto all’obbligo di corresponsione dell’assegno mensile a favore dei figli minori, la Suprema Corte ha ritenuto infondato il motivo di impugnazione proposto dai difensori,i quali avevano evidenziato come il mancato versamento fosse conseguente ad un pregresso accordo tra i genitori e con il quale l’imputato si impegnava a pagare per intero i ratei del mutuo contratto per l’acquisto di un immobile conferito in un fondo patrimoniale, provvedendo così anche alla quota di competenza dell’ex coniuge.
La Cassazione ha chiarito che l‘obbligo di versare l’assegno di mantenimento è inderogabile ed indisponibile e, come tale, non può essere sostituito con prestazioni di altra natura. Oltretutto, nella vicenda specifica, il pagamento delle rate del mutuo era avvenuto in un periodo precedente a quello in cui era stato omesso il versamento dell’assegno.

Fonte: Cass. pen. sent. n. 10944 del 15.3.2016

Assegno di divorzio: la Corte Costituzionale supera il “dogma” del tenore di vita coniugale

L’assegno post matrimoniale è un istituto creato e concepito all’inizio degli Anni 70, con la legge sul divorzio (è previsto dall’art. 5 della legge 898/70, poi modificata dalla legge 74/1987).

Esso in sostanza sancisce il permanere di un vincolo solidaristico tra i coniugi, anche dopo lo scioglimento del matrimonio: pronunciando il divorzio, il giudice può disporre in favore del coniuge che non disponga di mezzi adeguati o comunque non possa procurarseli per ragioni oggettive un assegno mensile.

L’adeguatezza viene riferita al tenore di vita matrimoniale.
L’interpretazione giurisprudenziale ha univocamente chiarito che l’assegno di divorzio assolve una funzione prettamente assistenziale, presupponendo una condizione di bisogno del coniuge destinatario dell’assegno.

Su questo filone è da ultimo intervenuta la Consulta, la quale, investita della questione di legittimità costituzionale della norma citata, per possibile contrasto con gli art. 2, 3 e 29 della Carta costituzionale, ha dichiarato infondata la questione, svolgendo tuttavia autorevoli e qualificate precisazioni circa il parametro del “tenore di vita”.

Più esattamente, la Corte Costituzionale, facendo proprio l’orientamento dei giudici di legittimità, ha acclarato che il parametro del “tenore di vita” non integra l’unico parametro di riferimento ai fini della quantificazione dell’assegno, ma va valutato e bilanciato con gli ulteriori parametri elencati nell’art. 5 legge div. (le condizioni dei coniugi, le ragioni della decisione, il contributo personale ed economico dato da ciascuno alla conduzione familiare ed alla formazione del patrimonio di ciascuno o di quello comune, il reddito di entrambi, la durata del matrimonio).

In sostanza, afferma la Consulta, il giudice del divorzio deve compiere un duplice ragionamento: dapprima, in astratto, deve valutare la sussistenza dell’inadeguatezza dei mezzi del coniuge meno abbiente alla luce del tenore di vita coniugale, quindi, in concreto, quantificare la misura dell’ipotetico assegno sulla base degli ulteriori parametri di cui sopra, i quali agiscono come fattore di moderazione e di diminuzione della somma considerata in astratto, giungendo anche ad azzerarla.

Fonte: Corte Costituzionale, sent. n. 11 dell’11.2.2015 in www.cortecostituzionale.it

Separazione e divorzio veloci: come fare

E’ stata introdotta un anno fa, ma è ancora poco conosciuta. Si tratta dell’opportunità di addivenire alla separazione, al divorzio e alla modifica delle condizioni di separazione e divorzio senza dover comparire innanzi al Tribunale.
Come fare?
Al riguardo, il D.L. n. 132/2014 convertito dalla legge 162 del 10.11.2014 ha previsto due procedure:
– la “negoziazione assistita“, nella quale i coniugi, con l’ausilio dei rispettivi avvocati, la cui presenza è obbligatoria, si impegnano a collaborare lealmente ed in buona fede al fine di addivenire ad una definizione consensuale delle regole della loro separazione, del divorzio o della modifica delle condizioni di separazione e di divorzio.
L’impegno ha una durata prestabilita, decorsa la quale, se non è stato possibile addivenire ad una soluzione concordata, ciascuno è libero di assumere l’iniziativa giudiziale.
Se, invece, l’accordo viene raggiunto, esso viene sottoposto ad un controllo di regolarità presso la Procura della Repubblica, superato positivamente il quale, viene trasmesso, a cura degli avvocati, al Comune di celebrazione del matrimonio.
L’accordo è vincolante per le parti dalla data di sua sottoscrizione davanti agli avvocati.

– la dichiarazione dei coniugi direttamente davanti all’Ufficiale dello Stato civile: questa modalità è esperibile soltanto quando non vi siano figli minorenni, figli maggiorenni incapaci, portatori di handicap o economicamente non autonomi, e quando l’accordo non investa questioni di natura patrimoniale (mantenimento, trasferimenti immobiliari, ecc.). In questa seconda ipotesi, non è obbligatoria l’assistenza dell’avvocato, ma stante la delicatezza degli interessi in gioco, è sempre utile rivolgersi previamente ad un legale esperto della materia, che, valutata attentamente la specifica vicenda familiare, possandicare la fattibilità nel caso concreto di tale iter e fornire i suggerimenti giusti in merito al contenuto dell’accordo che verrà consegnato all’Ufficiale di Stato civile, al fine di evitare possibili problematiche future.

I vantaggi di queste procedure? Certamente la rapidità, poichè le procedure sono svincolate dai tempi di attesa dell’udienza davanti al Tribunale, purtroppo lunghi.
Inoltre, nell’ambito di un accordo, i coniugi possono regolamentare i reciproci rapporti personali e patrimoniali con ampia autonomia negoziale, disciplinando anche profili che il giudice della separazione o del divorzio contenzioso, per legge, non può esaminare, quali, a titolo esemplificativo, il trasferimento di proprietà o di quote immobiliari tra i coniugi o a favore dei figli, anche quale modalità alternativa o integrativa dell’assegno di mantenimento, la gestione di beni cointestati, il pagamento del mutuo, ed altre.

Fonte: Legge 162 del 10.11.2014 con cui è stato convertito in legge il D.L. n. 134 del 12.9.2014 recante “Misure urgenti di degiurisdizionalizzazione ed altri interventi per la definizione dell’arretrato in materia di processo civile”