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Un nuovo passo importante nel mio percorso professionale: Avvocato specialista in Diritto della Persona, delle Relazioni Familiari e dei Minorenni

Il 16 settembre 2024 ho conseguito il titolo di Avvocato Specialista in Diritto della Persona, delle Relazioni Familiari e dei Minorenni, superando l’esame presso il Consiglio Nazionale Forense (CNF). Questo riconoscimento rappresenta per me un passo significativo in un percorso che, da oltre vent’anni, mi vede impegnata nel diritto di famiglia e nella tutela delle persone in momenti spesso delicati della loro vita.

Cosa significa questo riconoscimento?

Il titolo di avvocato specialista certifica competenze approfondite e riconosciute in un ambito specifico del diritto. Per chi, come me, si occupa di diritto della persona e delle relazioni familiari, vuol dire poter offrire un supporto ancora più qualificato su questioni fondamentali come:

– separazioni e divorzi;

– affidamento e tutela dei figli minori;

– contratti e unioni civili;

– successioni e diritti patrimoniali della famiglia;

– protezione delle persone vulnerabili, come minori e soggetti fragili.

Essere specialista non significa solo conoscere le leggi, ma anche sapere come applicarle con attenzione alle specificità di ogni caso, cercando soluzioni che rispettino il benessere e i diritti delle persone coinvolte.

 

Un impegno continuo al fianco delle persone

Nel corso degli anni ho avuto il privilegio di affiancare molte persone, ciascuna con la propria storia, le proprie sfide e i propri obiettivi. Ogni esperienza ha arricchito il mio bagaglio professionale e umano, insegnandomi quanto sia importante un approccio fatto di ascolto, empatia e competenza tecnica.

Questo nuovo titolo non cambia il mio modo di lavorare, ma conferma l’impegno e la dedizione che ho sempre messo nel mio lavoro. È una tappa importante, ma non un traguardo: il mio obiettivo è continuare a crescere e a mettere le mie competenze al servizio di chi ha bisogno.

 

Per chi si affida al mio studio

In un momento storico in cui il diritto di famiglia sta vivendo importanti cambiamenti, poter contare su un professionista specializzato è fondamentale. Il mio studio si impegna ogni giorno per offrire un supporto giuridico qualificato e umano, capace di adattarsi alle esigenze specifiche di ogni persona e di ogni famiglia.

Se avete bisogno di assistenza o informazioni su temi legati al diritto di famiglia, sono a vostra disposizione per affiancarvi con serietà e professionalità.

Grazie a chi ha scelto di affidarsi a me lungo questi anni. Questo risultato è anche il frutto del rapporto di fiducia costruito insieme.

 

Avv. Barbara D’Angelo

Assegnazione della casa familiare nella separazione: criteri, diritti e doveri

L’assegnazione della casa familiare è una misura prevista dal nostro ordinamento per tutelare il benessere dei figli minori e garantire loro stabilità e continuità abitativa anche dopo la separazione o il divorzio dei genitori. Questo provvedimento ha come obiettivo principale la protezione degli interessi della prole, permettendo loro di continuare a vivere nell’ambiente domestico che conoscono, riducendo al minimo i traumi e i disagi derivanti dalla disgregazione del nucleo familiare.

La normativa di riferimento

La regolamentazione dell’assegnazione della casa familiare è disciplinata principalmente dagli articoli 337 ter e 337 sexies del codice civile. Questi articoli stabiliscono i criteri e le modalità con cui viene deciso l’assegnazione dell’abitazione familiare, ponendo particolare attenzione agli interessi dei figli minori ed evidenziando anche i risvolti economici dell’assegnazione.

Quali sono i criteri di assegnazione?

 

  1. Interessi dei figli: la casa familiare viene assegnata al genitore con cui i figli minori convivono stabilmente. L’assegnazione mira a preservare l’ambiente domestico, le abitudini e le relazioni affettive dei minori, considerati fondamentali per il loro sviluppo equilibrato e sereno. L’assegnazione è prevista anche in presenza di figli maggiorenni non economicamente autosufficienti e anche in caso di figli maggiorenni  con gravi disabilità.

 

  1. Stabilità abitativa: viene valutato il tempo e la stabilità con cui il figlio ha vissuto nella casa familiare. La continuità abitativa è considerata un elemento cruciale per evitare ulteriori traumi ai bambini.

 

  1. Condizioni economiche: anche le condizioni economiche dei genitori vengono prese in considerazione.  Il tribunale valuta l’impatto economico dell’assegnazione sia sul genitore che mantiene il possesso della casa, sia su quello che ne perde la disponibilità.

 

  1. Diritti di proprietà: Se la casa familiare è di proprietà esclusiva di uno dei genitori, questo elemento viene considerato nella decisione, ma non prevale sugli interessi della prole. L’assegnazione può comunque essere disposta a favore dell’altro genitore se ciò risponde meglio alle esigenze dei figli.

Quanto dura l’assegnazione?

L’assegnazione della casa familiare ha una durata che è strettamente legata alle esigenze dei figli . Il diritto di abitazione cessa quando i figli diventano economicamente autosufficienti. In alcuni casi, l’assegnazione può essere rivista se cambiano le condizioni personali o economiche dei genitori o dei figli.

Quali diritti e doveri discendono dall’assegnazione?

  1. Usufrutto e diritto d’abitazione: Il genitore assegnatario non acquisisce la proprietà dell’immobile, né i diritti reali di usufrutto o di abitazione, acquista più semplicemente un diritto personale di godimento dell’immobile limitato al periodo necessario per il benessere dei figli.
  2. Manutenzione e spese: Le spese di manutenzione ordinaria dell’immobile restano a carico del genitore assegnatario, mentre quelle straordinarie spettano al proprietario dell’immobile.

Nel prossimo articolo esamineremo una recente sentenza della Corte d’appello di Milano che affronta proprio il tema dell’assegnazione della casa familiare.

 

Guida alla separazione: i primi 5 passi

La separazione rappresenta un momento estremamente delicato nella vita di una persona, caratterizzato da emozioni intense che richiedono una gestione attenta. Pertanto, è importante non  farsi travolgere dai sentimenti e cercare di mantenere la lucidità necessaria per affrontare al meglio e in modo costruttivo questo periodo.

Stai pensando di separarti?

Ecco alcuni suggerimenti legali su come gestire la fase iniziale della separazione:

1- Chiama l’avvocato

Prima di prendere qualsiasi decisione durante questa fase cruciale della tua vita, è fondamentale consultare un avvocato specializzato in diritto di famiglia. Questo passo ti aiuterà a comprendere i tuoi diritti e doveri durante la separazione, consentendoti di valutare soluzioni che garantiscano la migliore tutela per i tuoi interessi e di quelli dei tuoi figli.

2 – Comunica con il coniuge

Cerca di mantenere un dialogo aperto e costruttivo con il tuo coniuge, specialmente se ci sono figli coinvolti. Risolvere le questioni in modo amichevole è preferibile, ma evita di prendere decisioni legali senza prima aver consultato un avvocato.

3- Tutela i tuoi figli

Evita di coinvolgere i figli nel conflitto. Durante la delicata fase della separazione, è cruciale fornire ai figli il supporto e l’assistenza di entrambi i genitori, agendo con buon senso e evitando di farsi travolgere dalle emozioni negative.

4 – Raccogli i documenti finanziari

Raccogli con cura tutti i documenti finanziari pertinenti, come estratti dei conti correnti bancari, dichiarazioni dei redditi, contratti di lavoro e altri documenti utili per ricostruire accuratamente la situazione economica tua e del tuo coniuge.

5 – Non lasciare la casa coniugale

Per le persone sposate, vivere sotto lo stesso tetto è un obbligo di legge. A meno che non ci siano gravi motivi come violenze o maltrattamenti, lasciare la casa coniugale senza l’autorizzazione scritta dell’altro coniuge può comportare conseguenze giuridiche significative nella procedura di separazione. Consulta sempre un avvocato prima di prendere questa decisione!

 

Ricorda che questi sono soltanto consigli generali e che è essenziale ottenere consulenza legale personalizzata in base alla tua situazione specifica. Un avvocato matrimonialista competente ed esperto della materia del diritto di famiglia può guidarti attraverso il percorso legale, assicurando la protezione dei tuoi interessi.

Quando spetta l’assegno di mantenimento?

Con l’ordinanza n. 36178 del 28 dicembre 2023 la Corte di Cassazione ha ribadito i criteri imprescindibili per ottenere l’assegno di mantenimento nella separazione. Più specificamente, i seguenti:

a) Impossibilità di conservare il tenore di vita goduto durante il matrimonio 

La Cassazione ha affermato con chiarezza che l’assegno di mantenimento spetta al coniuge che, senza colpa, si trova nell’impossibilità oggettiva di mantenere un tenore di vita adeguato, vale a dire uno standard di vita analogo a quello che il matrimonio gli avrebbe potuto offrire.

Al riguardo, il giudice della separazione deve tener conto delle potenzialità economiche di entrambi i coniugi, da individuarsi con riferimento allo standard di vita familiare reso oggettivamente possibile dal complesso delle loro risorse economiche, in termini di redditività, capacità di spesa, garanzie di elevato benessere e di fondate aspettative per il futuro.

b) Condizione di debolezza economica

Ha diritto all’assegno di mantenimento il coniuge che versa in una condizione economica inferiore rispetto all’altro.

Il giudice della separazione, con sguardo attento, deve comparare le condizioni economiche di entrambi i coniugi, tenendo conto di variabili come la durata della convivenza e le prospettive future.

Nell’esame della condizioni economiche – specifica la Suprema Corte – non è necessario che il giudice si addentri in una dettagliata disamina dei patrimoni e dei redditi dei coniugi. Ciò che conta è una ricostruzione generale e attendibile, una visione d’insieme che getti luce sulla situazione economica complessiva di ciascuno dei due.

 

Fonte: Cassazione civile ordinanza n. 36178 del 28 dicembre 2023

Separazione conviventi con figli: cosa fare?

A differenza delle persone sposate, le persone che convivono non hanno l’obbligo di avere un atto ufficiale che renda effettiva la separazione: quando il rapporto giunge al termine, è sufficiente interrompere la convivenza.

 

Quando ci sono figli minorenni o maggiorenni non autosufficienti

Tuttavia, in presenza di figli la situazione è più delicata: infatti, i genitori conservano, anche dopo la fine dalla convivenza, l’obbligo di provvedere all’assistenza e al mantenimento dei figli, supportandoli economicamente e trascorrendo con loro tempo adeguato a mantenere e rafforzare il legame.

Pertanto, in presenza di figli è consigliabile disciplinare in modo formale i rapporti, al fine di evitare situazioni indefinite nelle quali la volontà di uno dei genitori possa diventare prevalente, creando probabili conflitti: avere regole definite sull’affidamento, il calendario delle visite ai figli, l’utilizzo della casa familiare e il mantenimento è il primo passo per creare un nuovo equilibrio e per dare stabilità ai figli.

 

Quali procedure?

La regolamentazione dei rapporti si può raggiungere in due modi:

1. mediante un accordo,

cioè definendo assieme le modalità di gestione dei figli, con il supporto dell’avvocato o di un mediatore familiare.

L’accordo può essere formalizzato innanzi al tribunale tramite un ricorso congiunto, nel quale sono specificate le regole che si chiede vengano ratificate. In questo caso, è sufficiente un solo avvocato per entrambi i genitori e si può scegliere di non comparire personalmente davanti al giudice.

In alternativa, l’accordo si può ufficializzare mediante la procedura di negoziazione assistita davanti a due avvocati, uno per ciascun genitore, senza necessità di passare dal tribunale.
Gli avvocati si occuperanno della redazione dell’accordo e di tutti gli incombenti formali necessari per dargli la stessa efficacia del provvedimento del tribunale;

2. mediante un procedimento contenzioso:

quando non è possibile raggiungere regole condivise, ciascuno dei genitori è libero di depositare un ricorso giudiziale, formulando le proprie domande e rimettendo la decisione al tribunale.

Una volta ricevuto il ricorso, il tribunale fissa l’udienza di discussione. Il ricorso viene quindi notificato all’altra parte, la quale avrà modo di formulare le proprie richieste prima dell’udienza. Entrambi gli ex conviventi potranno poi depositare ulteriori memorie prima di presentarsi davanti al giudice.
All’udienza, il giudice ascolterà entrambe le parti, proporrà una soluzione conciliativa che, qualora accettata da entrambe le parti, verrà trasferita in un provvedimento giudiziale definitivo.

Invece nel caso permanga il disaccordo tra gli ex conviventi, sarà il giudice a decidere, adottando le regole che riterrà meglio rispondenti all’interesse dei figli, garantendo così fin dall’immediato una regolamentazione provvisoria dei rapporti. Il giudizio poi proseguirà per gli approfondimenti istruttori (testimonianze, consulenza tecniche, indagini sui redditi) richiesti dalle parti e ritenuti opportuni dal giudice.

 

Ascolto del minore: un diritto fondamentale

Nel contesto dell’ascolto del minore nell’ambito dei procedimenti giudiziari, l’art. 473-bis.4 c.p.c. ha introdotto importanti cambiamenti, superando il vecchio art. 336-bis c.p.c. Oltre a considerare le difficoltà fisiche o psichiche del minore quali elementi ostativi all’ascolto, ora si tiene conto anche della sua volontà di non essere ascoltato.

La nuova disposizione conferma che l’ascolto del minore non è soltanto un elemento procedurale, ma un diritto fondamentale della persona del minore. È uno strumento cruciale per proteggere l’interesse del minore e fare in modo che le decisioni più importanti per la sua vita siano prese considerando la sua volontà e i suoi sentimenti.

Lo ha chiarito la Corte di Cassazione, nella recente sentenza dell’11 dicembre 2023 n. 34560.

Il caso

La sentenza riguarda un caso di risarcimento del danno da fatto illecito in ambito familiare: la madre di un minore era stata condannata in primo grado e in appello a risarcire i danni provocati all’ex marito cui aveva impedito di vedere il figlio, danni quantificati nell’importo di circa 35.000,00 €.

La signora si rivolge quindi alla Corte di Cassazione lamentando un vizio di legittimità del procedimento, nel quale non era stato sentito il figlio minore, a suo avviso parte interessata alle vicende oggetto di causa.

La Corte d’Appello, in particolare, aveva respinto la richiesta sottolineando che l’audizione del figlio era superflua, poiché si trattava di un giudizio di risarcimento danni tra i genitori, e quindi di una lite che riguardava soltanto gli adulti, non direttamente il minore.

La decisione

La Cassazione ha respinto il ricorso della madre, sostenendo che il procedimento in questione non rientrava tra quelli in cui il minore dev’essere ascoltato, non trattandosi di un procedimento nel quale il figlio è a tutti gli effetti parte del processo e nel quale si decidono questioni che lo riguardano direttamente. Questa decisione riflette l’applicazione corretta delle normative che regolano l’ascolto del minore.

La pronuncia è molto interessante, poiché ricostruisce in modo dettagliato l’evoluzione dell’istituto dell’ascolto del minore e chiarisce che l’ascolto del minore è un elemento chiave per garantire un processo giusto e equo, tenendo conto dei suoi interessi specifici.

La natura giuridica dell’ascolto del minore

Il diritto all’ascolto del minore è stato rafforzato a livello internazionale e nazionale, riconoscendo la sua natura di diritto fondamentale.

In ambito nazionale già con la legge n. 219 del 2012 si è affermata la necessità di ascoltare il minore ultradodicenne nei procedimenti che lo riguardano.

Più di recente, la riforma entrata in vigore il 28 febbraio 2023, ha introdotto l’art. 473-bis.4 c.p.c. nel quale viene precisato che nella decisione sull’ascolto del minore si deve tenere conto anche della volontà del minore di non essere ascoltato.

Ciò conferma che l’ascolto del minore non è solo un incombente processuale, ma un diritto sostanziale: si tratta di una modalità tra le più rilevanti, di riconoscimento del diritto fondamentale del minore ad essere informato ed esprimere la propria opinione e le proprie opzioni nei procedimenti che lo riguardano, e gli consente dunque di partecipare alle decisioni relative alla sua sfera individuale, configurandosi come uno strumento di tutela e conseguimento del suo interesse nell’ambito del procedimento.

L’ascolto del minore è dunque un diritto fondamentale della persona del minore, uno strumento essenziale per garantire che le decisioni giuridiche tengano conto della volontà e dei sentimenti del minore.

 

Fonte: Corte di Cassazione sentenza n. 34560 dell’11 dicembre 2023.

Per il rilascio del passaporto non serve (più) il consenso dell’altro genitore

Il decreto legge n. 69/2023, entrato in vigore il 14 giugno 2023, ha cambiato le regole per ottenere il passaporto in Italia. In precedenza, in presenza di figli minorenni, per il rilascio e per il rinnovo del passaporto di uno dei genitori era sempre necessario il consenso dell’altro.

Ora non è più così: un genitore che vuole il rilascio o il rinnovo del suo passaporto non ha più bisogno del consenso dell’altro. Resta obbligatorio il consenso di entrambi i genitori o di chi ne ha la responsabilità soltanto per il rilascio del passaporto dei minorenni.

Cosa può fare l’altro genitore se non è d’accordo per il rilascio del passaporto?

Se uno dei genitori intende opporsi al rilascio o al rinnovo del passaporto dell’altro, deve presentare istanza al giudice, indicando le motivazioni a fondamento della domanda.

Il tribunale, nel rispetto del principio di proporzionalità e tenendo conto della normativa interna e internazionale in materia di responsabilità genitoriale, mantenimento e sottrazione internazionale di minori,  emette un divieto (inibitoria) quando vi è rischio reale che il genitore, recandosi all’estero, possa venire meno ai suoi doveri verso i figli. Se la richiesta viene accolta, il giudice stabilisce per quanto tempo rimarrà in vigore l’inibitoria, che comunque non può superare i due anni.

La richiesta dev’ essere presentata al tribunale nel luogo in cui il minore ha la residenza abituale. Se è già in corso una procedura legale tra le stesse persone, la richiesta va presentata al giudice di quella procedura. Se il minore vive all’estero, la richiesta va presentata al tribunale in Italia dove viveva prima o al tribunale nella zona in cui il minore è registrato all’AIRE.

La domanda di inibitoria può essere presentata anche dal Pubblico Ministero.

 

Fonte: Art. 20 del decreto legge n. 69 del 13 giugno 2023.

Danni in famiglia: l’amante deve risarcire il danno?

L’adulterio è una violazione del dovere di fedeltà coniugale e può essere motivo di addebito della separazione, se si dimostra che ha causato la frattura del matrimonio. Se poi la relazione extraconiugale viene condotta con modalità offensive della dignità del coniuge, può essere ragione di risarcimento dei danni.

In questo caso, non c’è dubbio che chi viene tradito possa chiedere il risarcimento dei danni al marito o alla moglie fedifraghi. Ma può chiedere il risarcimento dei danni anche all’amante del coniuge? Dopo tutto, l’amante con il suo comportamento contribuisce alla crisi coniugale. Può quindi essere considerato a sua volta responsabile legalmente dei danni subiti dal coniuge tradito?

Con la sentenza n. 156 del 29 marzo 2022 la Corte d’Appello di Perugia ha affrontato un caso emblematico.

La vicenda

I fatti esaminati dai giudici umbri riguardano una richiesta di risarcimento danni presentata dal marito nei confronti della moglie, dalla quale nel frattempo si era separato, e dell’amante di lei.

Il marito, in particolare, aveva chiesto 600.000,00 euro di risarcimento, di cui 200.000,00 per sé e 200.000,00 per ciascuno per i due figli minori avuti dalla moglie.

Secondo l’uomo, il tradimento delle moglie era stato la causa della separazione e della disgregazione della famiglia. Egli sosteneva, poi, che la moglie e l’amante di lei avevano avuto comportamenti lesivi della sua dignità e del suo onore: i due avevano, tra l’altro, pubblicato sui social post nei quali lo offendevano e, con riferimenti allusivi alla sua persona, si prendevano gioco di lui.

La decisione

La Corte d’Appello di Perugia ha rigettato la domanda di risarcimento dei danni rivolta all’amante della moglie.

I giudici, in particolare, hanno escluso in capo all’amante ogni responsabilità, evidenziando che gli unici comportamenti illeciti sono ascrivibili alla moglie che ha tradito il marito, così violando l’obbligo di fedeltà.

L’amante della moglie, infatti, è una persona terza rispetto al matrimonio e non ha alcun obbligo nè dovere nei confronti del coniuge dell’altro, anzi è libero di esprimere il proprio diritto di autodeterminazione e la sua personalità come crede opportuno, anche frequentando e intrattenendo una relazione con una persona sposata.

Recita la sentenza: non è ravvisabile in capo ai terzi un generico dovere di astensione dall’intrattenere rapporti con persone coniugate. L’amante deve dirsi libero di intrattenere relazioni interpersonali anche con persone sposate nell’esercizio del proprio diritto di autodeterminazione, del diritto alla libera esplicazione della personalità, nonché della propria libertà sessuale, costituzionalmente garantiti.

Insomma, chiedere i danni all’amante del coniuge contrasta con la Costituzione.

 

Genitori separati: a chi spetta l’Assegno Unico e Universale?

Secondo il tribunale di Bari, spetta al 100% al genitore convivente con i figli.

Più in particolare, con una sentenza pubblicata il 3 febbraio 2022 il tribunale di Bari ha stabilito che, in caso di genitori separati, le prestazioni erogate dall’INPS a tutela della famiglia devono andare in favore del genitore che ha la collocazione  dei figli.

Nella motivazione della sentenza, il tribunale richiama una sentenza della Corte di cassazione secondo cui il legislatore nella normativa in materia di assegni familiari ha inteso favorire il coniuge affidatario dei figli e sancito il diritto di quest’ultimo a percepire gli assegni familiari indipendentemente da chi sia titolare del rapporto di lavoro posto alla base dell’erogazione. Applicando questo principio – afferma il tribunale di Bari – anche l’assegno unico, che ha preso il posto degli assegni per il nucleo familiare, spetta per intero al genitore convivente coi figli.

Attenzione, però: si tratta soltanto di una interpretazione.

Le indicazioni dell’INPS

Qualche giorno fa, l’INPS si è espressa in senso diametralmente opposto: infatti, con il messaggio n. 1714 del 20 aprile 2022 l’INPS ha chiarito i principi che presiedono l’attribuzione dell’Assegno Unico e Universale in favore dei minorenni ai genitori separati.

Le regole variano a seconda del tipo di affidamento e sono le seguenti:

In caso di affidamento condiviso

Il principio generale è che l’Assegno Unico e Universale viene erogato al 50% ciascuno ai genitori che hanno l’affidamento condiviso dei figli.

Tuttavia, resta salva la facoltà dei genitori di concordare che il contributo venga erogato per intero solo a uno dei due.

Dunque, i genitori possono accordarsi nel senso che l’assegno spetti per intero al genitore che ha la collocazione prevalente dei figli. Ma attenzione: devono essere entrambi d’accordo! Se uno dei due dice di no, l’assegno viene attribuito in automatico al 50%.

In caso di affidamento esclusivo

L’assegno viene sempre erogato per intero al genitore che ha l’affidamento esclusivo.

Se lo ha stabilito il giudice

Inoltre, se il giudice, nel provvedimento che disciplina la separazione di fatto, legale o il divorzio dei genitori, ha disposto che dei contributi pubblici usufruisca uno solo dei genitori, l’assegno viene sempre erogato a un solo genitore, a prescindere dal tipo di affidamento, .

Cosa fare se la domanda presentata da un genitore non rispetta le regole?

Se un genitore ha presentato la domanda chiedendo l’attribuzione al 100% in violazione delle regole di cui sopra, l’altro genitore  può presentare all’INPS istanza di revisione della domanda, allegando la documentazione a sostegno della sua richiesta (ad esempio, il provvedimento del tribunale che dispone l’affidamento condiviso).

 

La Corte Costituzionale rivoluziona le regole sul cognome dei figli

Il vento di primavera arriva dalla Corte Costituzionale: con una storica sentenza, la Consulta ha dichiarato l’illegittimità costituzionale delle norme che regolano l’attribuzione del cognome ai figli nel nostro ordinamento.

La norme che sono state esaminate della Corte Costituzionale sono due:
– la norma che non consente ai genitori di attribuire al figlio, di comune intesa, soltanto il cognome della madre,
– la norma che in mancanza di accordo tra i genitori prevede che debba essere dato al figlio soltanto il cognome del padre e non quello di entrambi i genitori.

Entrambe le norme sono state dichiarate incostituzionali, poiché contrarie agli articoli 2, 3 e 117 della Costituzione e agli articoli 8 e 4 della Convenzione Europea sui Diritti dell’Uomo.

A seguito dell’intervento della Consulta, il figlio assumerà il cognome di entrambi i genitori nell’ordine da essi concordato, a meno che i genitori decidano di comune accordo di attribuire soltanto il cognome di uno dei due. In caso di disaccordo, verrà applicato il cognome di entrambi i genitori.

Questi i principi sanciti dalla Corte Costituzionale, secondo il comunicato stampa diffuso in attesa della pubblicazione della sentenza.

Spetta a questo punto al legislatore intervenire per regolare gli aspetti pratici conseguenti alla decisione.

Un altro passo avanti verso l’uguaglianza e la piena tutela dell’interesse del figlio.